Archivi giornalieri: gennaio 6, 2009

L’ “astronauta” di Palenque


Nel giugno 1952 un’equipe guidata dall’archeologo messicano Alberto Ruz, impegnata nel restauro di alcune rovine Maya di Palenque (Palenque è solo il nome dato dagli spagnoli durante il loro dominio alla località,  il nome antico della città era «Na Chan Caan», letteralmente «La Casa del Serpente Celeste»!) ,situato nello stato messicano del Chiapas,, rinvenne,all’interno di una piramide,  il sarcofago di un re Maya di nome Pacal vissuto nel VII secolo d.C. , la scoperta fu fatta quasi per caso in un gruppo di rovine abbandonate da secoli e che la vegetazione, nonché pietre e detriti, avevano coperto quasi completamente.Dobbiamo tenere presente che Palenque era già stata abbandonata quando vi giunsero i conquistadores.
La spedizione condotta di Ruz si occupò per mesi di questa importante scoperta, ma alla fine i risultali furono veramente sorprendenti.
Per sollevare il coperchio del sarcofago,pesante 5 tonnellate, fu necessario ricorrere a tecniche modernissime e all’interno fu rinvenuto lo scheletro di un uomo alto 1 metro e 73 centimetri con il volto coperto da una maschera di giada.
Si suppone si trattasse del re Pacal e certamente si trattava di un gigante se pensiamo che l’altezza media dei maya era sull’ordine del metro e 50 centimetri. Di sicuro si trattava di un personaggio di tutto rispetto se a tutt’oggi questa rimane l’unica sepoltura rinvenuta in una piramide americana, e in America del Sud le piramidi finora scoperte sono molte.
La cosa che però fece più impressione, non appena la si poté osservare con calma, resta senz’altro la grossa lastra di pietra che copriva il sarcofago. Per interpretarla furono usate le più varie e cervellotiche ipotesi, ma nessuna che fosse soddisfacente. L’unica che, una volta osservata un’immagine della pietra, fosse plausibile è senz’altro quella che sembra anche la più incredibile e , forse, la più “impossibile”: l’ipotesi della capsula spaziale…!Entrando più nel dettaglio, la scena raffigura un uomo seduto in una sorta di abitacolo, piegato in avanti, con mani e piedi appoggiati ad oggetti di varie forme e dimensioni che ricordano congegni meccanici. Dietro all’uomo vi è un blocco che fa pensare al “motore” della navicella. Il piede destro sembra essere appoggiato su un pedale ed addirittura l’uomo sembra avere un respiratore collegato al suo naso.Inoltre, per finire, dalla parte posteriore della “navicella” fuoriescono delle fiamme.Altra  presenza “strana” è l’altrettanto famoso «guerriero maya», un personaggio scolpito su una stele  nella stanza del sarcofago, riccamente parato e con in mano uno strano oggetto che potrebbe raffigurare tranquillamente un moderno fucile mitragliatore o un lanciafiamme. Le caratteristiche somatiche poi appaiono identiche a quelle del nostro “astronauta”.

Secondo l’archeologia ufficiale, ed anche secondo il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), il bassorilievo potrebbe essere spiegato come metafora di un sacerdote o di un re raffigurato al momento della morte, durante il passaggio dal mondo dei vivi all’aldilà, stilizzato attraverso dei simboli tipici della cultura Maya, ma, vista la particolarità della raffigurazione, nella quale troppi particolari riportano all’astronautica, sembra che tra le due interpretazioni la meno probabile sia proprio quella ufficiale.
Ovviamente tutto questo appare incredibile poiché si tratta di un reperto archeologico risalente a più di 1000 anni fa, ma basta osservare la pietra tombale per rendersi conto che la spiegazione più incredibile e anche la più soddisfacente. Certamente pensare ad antichi maya scorrazzanti su razzi spaziali non è facile da dirigere: l’argomento è buono per un mediocre romanzo di fantascienza, ma tuttavia la piramide e la lastra di pietra di Palenque sono ancora là a ricordarci che molte volte la realtà è più incredibile della più incredibile fantasia.

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La Colonna Ashoka


Questa colonna fu eretta da Chandragupta II Vikramaditya (375 – 414), durante l’impero Gupta che regnò sull’India settentrionale fra il IV e il VI secolo. La colonna, che alla sua sommità presenta una statua di Garuda, si trovava originariamente in un luogo chiamato Vishnupadagiri, cioè collina dell’impronta di Visnu, luogo identificato come l’odierna Udayagiri, a circa 50 chilometri a est della città di Bhopal.
La colonna si trova ora a Delhi in India ed è alta sette metri, ha un diametro di quaranta centimetri e pesa circa sei tonnellate. Sulla sua base è possibile notare un’iscrizione quale epitaffio per il re Chandragupta II che morì nel 414 d.c. L’aspetto interessante di questa colonna consta nel fatto che qualsiasi altra massa di ferro soggetta alle piogge e ai venti (specialmente a quelli indiani) per 1600 anni sarebbe arrugginita mentre la nostra colonna magica è ancora perfettamente liscia e priva di ruggine. Nella seconda metà del 2002 gli esperti dell’Istituto Indiano di Tecnologia (notizia riportata dal Times of India e dalla rivista italiana Hera) hanno finalmente scoperto cosa si celi nel pilastro di ferro di Delhi. La colonna è ricoperta da una patina protettiva di misawite, un composto costituito da ferro, ossigeno e idrogeno che si è formata dopo circa tre anni dal momento della fusione del pilastro e che è aumentata progressivamente nel tempo. Ora dovrebbe essere di un ventesimo di millimetro e la misawite si sarebbe formata cataliticamente grazie a una massiccia presenza di fosforo nel ferro (circa l’1% contro lo 0,05% del ferro moderno). L’alto contenuto di ferro è stato ottenuto da un processo di estrazione del ferro piuttosto inusuale. Sarebbe infatti stato mescolato con della carbonella per trasformare il minerale di ferro in acciaio attraverso un unico passaggio
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La produzione del ferro e le tecniche di conservazione vanno ben oltre quelle del quinto secolo; è probabilmente molto più antico, di molte migliaia di anni. Sarà interessante notare per quanto tempo la comunità scientifica si ostinerà ad ignorare non solo la colonna ma anche tutti gli altri ooparts che dimostrano in maniera evidente quanto le loro convinzioni passate siano se non da riscrivere almeno da rivedere.

 Targa con traduzione in inglese delle iscrizioni trovate sulla colonna.

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La “Pila” di Bagdad


 Uno strano reperto,un vero e proprio oopart , fu trovato nel 1936 durante degli scavi archeologici  a Kuyut Rabbou’a, nei pressi di Baghdad, odierna capitale dell’Iraq. Questo territorio è infatti molto ricco di testimonianze storiche, essendo stato in un remoto passato uno dei luoghi più colonizzati e fertili del mondo, tanto da essere stato battezzato “mezzaluna fertile”.Dopo due anni, nel 1938, il dottor Wilhelm Konig, un archeologo tedesco direttore del museo di Bagdad, rinvenne nei sotterranei  quel manufatto: un vaso alto 15 centimetri e mezzo di argilla gialla , contenente un cilindro di rame di 12cm per quattro.
Si trattava della cosiddetta “pila” di Baghdad. In realtà questo reperto non è un pezzo unico, sono diversi i reperti di questo tipo rinvenuti nella zona mesopotamica.
La “pila” è formata essenzialmente da un involucro di argilla gialla, a forma di vaso allungato, La sommità del cilindro era saldata con una lega 60-40 di piombo-stagno paragonabile alle migliori saldature di oggi. Il fondo del cilindro era tappato con un disco di rame e sigillato con bitume o asfalto. Un altro strato di asfalto isolante sigillava la parte superiore e teneva anche a posto un’asta di ferro sospesa al centro del cilindro di rame. L’asta mostrava di essere stata corrotta dall’acido.
La somiglianza di questo oggetto con una pila a carbone-zinco, le comuni pile a torcia, portò Wilhelm König,che aveva conoscenze elettromeccaniche, ad ipotizzare che potesse trattarsi di un generatore galvanico.Infatti questo oggetto, essendo formato da due diversi tipi di metallo, con l’applicazione di un’opportuna soluzione acida usata come elettrolita potrebbe generare un piccolo flusso di cariche elettriche, proprio come quello delle comuni batterie.


Qualcuno sostiene l’ipotesi che si tratti di un semplice contenitore di rotoli sacri per scopi magici o propiziatori, ma non sarebbe una cosa davvero bizzarra se degli uomini di un lontano passato, con l’intento di costruire un semplice contenitore, abbiano casualmente creato un oggetto funzionante secondo complessi processi chimico-fisici?Questa batteria, insieme alle altre trovate in Iraq, si trova nel museo di Bagdad e risalgono all’occupazione parto-persiana, tra il 248 a.C. e il 226 d.C

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