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CAMERA DEI DEPUTATI SENATO DELLA REPUBBLICA
IX LEGISLATURA
Doc. XXIII
n. 2-bis/5
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA
SIMA LOGGIA MASSONICA P2
(.Legge 23 settembre 1981, ti. 527)
RELAZIONE DI MINORANZA
del senatore ATTILIO BASTIANINI
ROMA 1984

Camera dei Deputati — 5 — Senato della Repubblica
IX LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI
INDICE
Perché voto contro la relazione Anselmi Pag. 7
Troppi diversivi nei lavori della Commissione » 8
La veridicità delle liste » 10
P2 e servizi segreti prima del 76 » 11
P2 come sistema di controllo dopo il 76 » 12
Riempire la piramide superiore » 13
Le nomine nei servizi segreti » 15
Per salvare Sindona e Calvi » 17
Ambrosiano e Rizzoli per finanziare alcuni partiti » 18

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IX LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI
Si tratta di materia importante e di grande rilievo: devo motivare
una linea interpretativa della vicenda P2 che, per parti non secondarie,
si discosta nella tesi della relazione Anselmi e dal consenso
che su questa tesi ha manifestato una vasta e composita maggioranza
(che comprende democristiani e comunisti), devo dare ragione
di un voto negativo ed indicare le linee di un lavoro più incisivo
e di una relazione diversa.
Mi sforzo di essere semplice e preciso per riportare in modo
non equivoco all’opinione pubblica i motivi dei giudizi che propongo
e le ragioni delle decisioni che ho assunto.
Questa relazione presenta le motivazioni del voto contrario che
ho espresso alla relazione Anselmi e sviluppa, successivamente, otto
ordini di considerazioni: sui troppi diversivi nei lavori della Commissione,
sulla veridicità delle liste, su P2 e servizi segreti prima
del 1976, sulla P2 come sistema di controllo dopo il 1976, sulla piramide
superiore, sulle nomine nei servizi segreti, sui tentativi di salvare
Sindona e Calvi, su Ambrosiano e Rizzoli per finanziare alcuni
partiti.
Perché voto contro la relazione Anselmi.
Il voto contrario alla relazione Anselmi, approvata a maggioranza
nella seduta conclusiva del 10 luglio 1984, non significa un giudizio
negativo su tutte le parti del documento e su ogni valutazione
in esso contenuta; il voto negativo trova ragione nelle critiche mosse
nei miei discorsi sui lavori della Commissione, trova motivi secondari
in valutazioni diverse su alcune attività piduiste, prima e
dopo il 1976, e ha principale fondamento nelle lacune di conoscenza
sul fenomeno della P2 che i lavori della Commissione e la relazione
di maggioranza lasciano al Parlamento e al paese.
La P2 è stato un fatto grave, più grave di quanto l’opinione
pubblica abbia finora potuto immaginare. Tutti i più inquietanti
scandali dell’Italia contemporanea (la carriera e la caduta di Sindona,
il crack del Banco Ambrosiano e i rapporti con lo IOR, il
suicidio o l’omicidio di Calvi, l’assassinio di Pecorella, la lotta senza
esclusione di colpi per il controllo della Rizzoli, del Corriere della
Sera e di altri giornali, lo scandalo ENI-Petromin, ecc.), sono segnati
in qualche modo dalla presenza di uomini della P2.
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Questi avevano il controllo dei servizi segreti, erano presenti
nelle forze armate, operavano ai vertici di molte amministrazioni
dello Stato e intrecciavano le loro azioni con trame eversive, delinquenza
organizzata e traffici di armi.
La P2 risulta quindi essere non uno tra gli scandali dell’Italia
degli anni ’70, ma il filo che attraversa e collega i diversi eventi,
dando loro, con una presenza non occasionale, continuità e senso
logico.
La complessità dell’azione della P2, il suo intreccio con i servizi
segreti, il suo grado di penetrazione nella società sono elementi tali
da non lasciare adito a ragionevoli dubbi che vi siano state coperture,
connivenze e ispirazioni maggiori.
L’immagine della « doppia piramide » contenuta nella relazione
Anselmi rende, con immediatezza, il senso del problema che doveva
essere affrontato. A questo, in particolare, la Commissione era chiamata
proprio dall’articolo 1 della legge istitutiva.
Ma la Commissione, nei suoi lavori, poco ha cercato oltre e sopra
a Gelli e la relazione, su questa materia, ancora più tace. Si
tratta quindi di una relazione incompleta. A conclusione di una
indagine incompiuta, che arresta le proprie valutazioni proprio dove
comincia la P2 più vera.
Troppi diversivi nei lavori della Commissione.
La Commissione, nel corso dei suoi lavori, ha incontrato troppi
diversivi, che hanno limitato la possibilità di concentrare gli sforzi
di conoscenza e di interpretazione sui nodi centrali dell’attività del
Gelli e dell’azione piduista.
La P2 è stata, negli anni, un fenomeno complesso e dalle molte
ramificazioni, modificando nel tempo i propri caratteri organizzativi
e la propria sfera di azione.
Era quindi inevitabile che, attraverso i nomi in qualche modo
richiamati, si venissero a collegare decine e decine di fatti che con
la vera sostanza dell’azione piduista nulla avevano a che fare od
erano, comunque, marginali.
L’acquisizione di questa vasta documentazione ha portato, in
concreto, a sbiadire il profilo dei diversi fatti, rendendo più difficile
ai commissari e all’opinione pubblica valutare l’esatta gerarchia
della gravità e delle responsabilità di quanto nel tempo è
avvenuto.
A titolo di esempio, ma anche per la sua importanza e per il
rilievo che ha avuto nell’opinione pubblica, richiamo il nodo dei rapporti
tra P2 e massoneria, che si è presto trasformato, nei lavori
della Commissione, in una minuziosa ricerca sui caratteri e sui rapporti
tra le diverse obbedienze massoniche, occupando un tempo di
indagine più proficuamente utilizzabile in altre direzioni.
Su questa materia vi è stato, nei lavori di Commissione, l’orientamento
prevalente a valutare una diretta responsabilità delle tradizioni
e dell’ordinamento massonico nella nascita e nell’affermarsi
della P2.
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Questo orientamento è servito a dare soddisfazioni emotive all’opinione
pubblica, ma non ha fatto compiere passi concreti nella
ricerca della verità. Due sono stati gli atti discutibili: l’audizione
insistita di tutti i responsabili delle obbedienze massoniche e l’eliminazione
di fatto di ogni riservatezza sugli elenchi dei 23.000 massoni
d’Italia, venuti per altre finalità nel possesso della Commissione.
Queste decisioni nulla avevano a che fare con l’indagine sulla
P2. Ma, negli effetti pratici, sono servite a due logiche. La prima
è la logica di chi aveva, e ha ancora, interesse ad alzare più polvere
possibile, per rendere meno chiare le responsabilità delle molte
vicende che si sono intrecciate attorno a Gelli; la seconda è la
logica di chi voleva, e vuole ancora, mettere sotto accusa per i fatti
della P2 la massoneria nel suo insieme. Si sono avute continue
fughe di notizie e la pubblicazione, più o meno completa, degli schedari
ha provocato curiosità morbose e, per l’accostamento costante
alla P2, ha concorso a resuscitare nel paese un clima antimassonico.
Un giudizio più maturo deve portare a conclusioni diverse. La
massoneria, indipendentemente dalla valutazione su quanto di attuale
oggi rappresenti, è parte delle libertà del paese e deve essere accettata
con le sue tradizioni e i suoi riti.
Questo giudizio, che non avevo mancato di fare presente nel
corso dei lavori (dichiarazioni del 22 settembre, del 6 e 10 ottobre
1983 e lettera inviata al presidente Anselmi nell’ottobre 1983), aveva
qualche fondamento; la relazione ha cambiato linea e imposta con
correttezza, che apprezzo, il rapporto tra P2 e massoneria, i cui legami
certo non possono essere negati, né per la struttura organizzativa
né per le relazioni personali, ma che escludono la massoneria
in quanto tale dalle responsabilità dirette della P2. Questa, anzi,
si servì dei caratteri dell’organizzazione massonica per fini del tutto
estranei e per molti aspetti contrapposti alla massoneria stessa.
La P2, nella massoneria, sembra piuttosto essere stato un corpo
separato che, probabilmente, si è giovato anche del carattere riservato
tipico della tradizione massonica e che si è sviluppato nella
massoneria stessa, così come si sarebbe anche potuto sviluppare
altrove.
Il problema è quindi da ricondurre ad una aperta discussione
sulla opportunità di rivedere alcune tradizioni di segretezza della
vita massonica (per altro già avviata dalle stesse obbedienze, con
l’immediata demolizione delle logge coperte e delle altre forme di
copertura a seguito della legge 25 gennaio 1982, n. 17), di ricondurre
tale segretezza al carattere riservato proprio ad ogni organizzazione
associativa e di rendere compatibile la riservatezza della massoneria
con gli obblighi di trasparenza che è giusto chiedere a tutti
coloro che si occupano di politica o che rivestono cariche ed uffici
pubblici.
Un secondo diversivo è stato costituito dall’audizione generica
dei segretari dei partiti politici.
In data 10 novembre 1983, di intesa con gli organi del partito
liberale, dichiaravo che sulla materia della P2 non vi era motivo di
richiamare la solidarietà di maggioranza e confermavo di essere
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contro l’audizione dei segretari dei partiti, che giudicavo (inutile o
tale da confondere eventuali responsabilità.
Chiedevo invece che si esaminasse, senza pregiudizi e con la
massima serenità, quanto oggettivamente riguardava i politici che,
sulla base di documenti, risultavano aver avuto rapporti con la P2
e con Licio Gelli, per decidere a quali audizioni la Commissione
dovesse dare seguito.
Il 15 novembre 1983, una decisione assunta a maggioranza, con
il mio voto contrario e dichiarato e per l’assenza determinante di
alcuni rappresentanti del PCI e del PRI, ha consentito di non procedere
all’audizione mirata degli uomini politici che dalle carte
risultavano aver avuto frequentazione o rapporti con Licio Gelli e
con la sua struttura.
Si era nell’autunno dello scorso anno, in una fase che avrebbe
consentito di dare un colpo d’ala all’inchiesta, per passare dall’apprezzabile
ricostruzione di quanto era noto alla conoscenza dei
legami più profondi e più nascosti dalla P2.
La veridicità delle liste.
Un diversivo è stato, di fatto, lo stesso problema della veridicità
delle liste, che, toccando un tema di grande rilievo e importanza,
ha assorbito negli ultimi mesi l’attenzione pubblica, facendo
passare in secondo ordine quanto nella relazione mancava su altri
aspetti dell’inchiesta.
La veridicità delle liste (o meglio, la loro completezza e attendibilità)
richiede qualche precisazione, anche in relazione alle decisioni
politiche che ne sono derivate e alle conseguenze personali che
potranno ricadere sui singoli nominativi presenti nei documenti sequestrati.
Nella discussione sulla prerelazione Anselmi avevo dichiarato
di non aver alcun elemento per considerare non attendibili gli elenchi
sequestrati a Castiglion Fibocchi; intervenendo il 10 luglio sul
testo definitivo della relazione, ho affermato che gli elementi di riscontro
sviluppati mi confermavano nel giudizio già espresso.
Ma questo giudizio richiede di essere completato con quattro
considerazioni:
l’incompletezza degli elenchi (sicuramente provata e documentata
con molti riscontri) è fatto grave, che getta un’ombra di inquietudine
sull’intero lavoro svolto. Ruolo e responsabilità dei nomi
mancanti porterebbero a conoscere la reale organizzazione piduista;
i documenti dell’archivio uruguaiano di Gelli, solo parzialmente trasmessi
in Italia, consentono comunque di intuire uno spessore dell’organizzazione
piduista che, se conosciuta nella sua interezza, sposterebbe
inevitabilmente molte delle responsabilità oggi concentrate
sui nominativi di Castiglion Fibocchi;
è convinzione unanime che negli elenchi di Castiglion Fibocchi
i nominativi riportati sono confluiti a vario titolo e in tempi successivi;
i diversi riscontri possibili hanno indicato posizioni molto diverCamera
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sificate. Si è accertata per alcuni una piena e consapevole appartenenza
alla P2 in quanto tale; per altri un’adesione formale priva
di seguito; per altri un’adesione, spesso non formalizzata, per trasferimento
da altre logge; per alcuni, infine, l’inserimento nelle liste
non è accompagnato da alcuna altra forma di riscontro. Quanto
sopra assume tanto maggior significato se si considera che, al di
là del giudizio sulla segretezza della loggia, le attività piduiste intrecciate
con fatti eversivi, criminosi o comunque inquietanti, hanno
interessato un ristretto numero di iscritti e che non vi sono
prove che di tali attività potesse esservi informazione per la restante
grande maggioranza degli iscritti;
le responsabilità dei singoli non possono essere riportate al
solo fatto di essere o non essere presenti negli elenchi, ma devono
essere commisurate alla partecipazione dei singoli nei fatti di cui la
P2 si è resa responsabile e al grado di conoscenza che i singoli avevano
del disegno complessivo e delle attività che ruotavano attorno
alla figura di Gelli;
l’essere nelle liste di Castiglion Fibocchi non può essere considerato
motivo automatico e sufficiente per discriminazioni nelle
carriere e nelle responsabilità; l’eventuale riapertura delle indagini
disciplinari compiute dalle amministrazioni pubbliche nei riguardi dei
propri dipendenti deve basarsi su elementi nuovi e certi e deve comunque
garantire da decisioni sommarie. Si deve inoltre ribadire che,
in assenza di una specifica responsabilità del singolo in specifici
fatti, l’inserimento dei singoli nominativi negli elenchi di Castiglion
Fibocchi pone problemi di opportunità, da valutare non in assoluto,
ma in rapporti al livello delle funzioni coperte.
P2 e servizi segreti prima del ’76.
Il giudizio che indica nella P2, nella prima metà degli anni 70,
un determinante centro di riferimento per il complesso delle attività
eversive può portare fuori strada.
La P2 sembra, in quegli anni, essere ancora radicata nell’organizzazione
massonica, alle prese con la ricerca di una più ampia
e incontrollata autonomia, con sobbalzi organizzativi e conflitti
per stabilizzarne il controllo e la finalizzazione. Non sembra quindi
poter essere stata in grado di sviluppare un proprio organico disegno,
che presupponeva, per il suo carattere eversivo, una salda
e stabile unitarietà di indirizzo.
È certo invece che le azioni eversive si intrecciavano con i servizi
segreti, spesso in un gioco a doppio binario che puntava sull’eversione
di destra o sul terrorismo di sinistra per destabilizzare
il sistema. Ed è anche certo che nei servizi segreti, o in collegamento
stretto con essi, operavano uomini della P2 o che ritroveremo
attivi nella P2 negli anni successivi.
Sembra quindi essere più produttiva un’interpretazione che individui
in quegli anni e nelle relazioni che in quegli anni si stabiCamera
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livano, il sorgere di quelle solidarietà che, proprio per il ruolo
degli uomini coinvolti, avrebbero costituito la base più affidabile
per garantire tenuta alla strategia del controllo che sarà sviluppata
negli anni successivi.
Il ruolo dei servizi segreti, intrecciati prima all’eversione e
coinvolti poi nel disegno piduista, verrebbe ad essere troppo ridotto
costruendo tutta l’analisi sul ruolo centrale che la P2 avrebbe
svolto nei primi anni 70.
E sul ruolo dei servizi segreti e sulle responsabilità di chi ne
aveva il carico di indirizzo e controllo politico, così come ancora
sul ruolo dei servizi segreti come ossatura anche della successiva
e più proficua stagione della P2 – quella della seconda metà degli
anni 70 – la relazione Anselmi lascia ancora molto da capire e
molto da lavorare.
P2 come sistema di controllo dopo il ’76.
Per il dopo 1976 la relazione Anselmi sviluppa un’interpretazione
a due stadi, che è utile richiamare.
Gli equilibri politici modificati dal voto del 1976 e l’affermarsi
di una democrazia consociativa, priva dell’opposizione, avrebbero
indotto la P2 a mutare strategia.
La nuova strategia puntava al controllo, dall’interno, dei centri
nevralgici di decisione dello Stato. Non si poneva quindi per
obiettivo l’aggressione contro le istituzioni stesse, ma di operare dall’interno
per stravolgerne il fine e per farne un uso degenerato in
rapporti di natura affaristica e per il controllo della società civile.
La P2 non ha avuto quindi, in senso stretto, una finalità eversiva.
Le tracce di attività eversiva, che pure esistono anche nella
seconda metà degli anni 70, sono secondarie e risultano comunque
compromesse nella loro efficacia proprio dell’analisi semplicistica e
superficiale che l’organizzazione aveva sviluppato del sistema politico
italiano.
Il cosiddetto « piano di rinascita democratica » (che assume
nella relazione Anselmi un ruolo centrale per dimostrare una finalità
eversiva globale della loggia anche dopo il 1975) è del tutto
marginale alle attività piduiste, né può dirsi che queste discendano
da un disegno strategico complessivo di eversione. Vi è da domandarsi
perché si siano considerate, nella relazione, più inquietanti le
poche verità e le molte banalità di un documento di carta, rimasto
sulla carta, piuttosto che denunciare come vera eversione il continuo
intreccio della P2 con i più gravi fatti di corruzione e di avventurismo
finanziario dell’Italia negli anni 70.
Per capire a fondo la P2 vi è da tenere presente una considerazione
elementare ma importante.
La P2 non operava fuori dal potere, ma era nel potere e proprio
dal potere (si potrebbe dire: dalle fortune del potere) trovava alimento
per accrescere peso e capacità di condizionamento.
Non riconoscere alla P2 una finalità direttamente eversiva non
porta affatto a dare del fenomeno un’interpretazione riduttiva, né
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ad abbassare il livello del giudizio. Significa solo mirare nella direzione
giusta, per non colpire obiettivi di comodo, ma per capire
a fondo i meccanismi reali di formazione del fenomeno piduista e
le sue logiche di comportamento.
L’inquinamento delle istituzioni è di per se stesso eversione,
specie quando si spinge ai livelli che la P2 aveva raggiunto, operando
in organismi indeboliti.
L’interpretazione della P2 come sistema di controllo contenuta
nella relazione Anselmi è, quindi, sostanzialmente corretta; questa
intepretazione, che ha fatto fare passi avanti decisivi nella comprensione
del fenomeno, è da me condivisa.
Ma vi è un rischio, cui non sfugge la relazione di maggioranza.
La P2 cresce di potere negli anni in cui si sviluppa la solidarietà
nazionale, con l’intesa tra i maggiori partiti. Molti passaggi
della relazione Anselmi portano a giudicare la P2 come un elemento
di inquinamento in una fase positiva di trasformazione dei rapporti
politici.
Il giudizio sembra dover essere rovesciato: proprio l’affermarsi
in quegli anni di una democrazia consociativa, lo sbiadire del confronto
tra la maggioranza e l’opposizione, il restringersi degli spazi
che il nuovo assetto politico lasciava alle diverse componenti della
società ha creato le condizioni per il radicarsi della nuova P2.
In quel clima il sistema di rapporti costituitosi negli anni precedenti
ha potuto trovare sviluppo, ha completato le relazioni necessarie,
ha acquisito posti di potere e ha così stabilizzato il peso
della P2 nella vita nazionale.
È negli anni della solidarietà nazionale che gli uomini della P2
penetrano nei centri vitali del controllo del paese e che si espande
il disegno di controllo complessivo.
In quegli anni si assiste ad una crescita della P2, la cui organizzazione
si sviluppa su due livelli paralleli: da un lato l’acquisizione
di posti di grande potere nei diversi rami dell’amministrazione
dello Stato e dell’economia pubblica e privata per il controllo
del sistema; dall’altro l’appropriazione quasi totale dei servizi segreti,
come sicura garanzia per controllare, orientare e, se necessario,
offrire sicurezza al sistema di controllo che si andava stabilendo nella
società.
Questa organizzazione parallela non può essere sottovalutata e
porta ancora una volta alla luce le responsabilità centrali che i
servizi segreti hanno avuto nel fenomeno P2.
La P2 non è quindi un germe estraneo che corrode una società
sana, ma sembra piuttosto la conseguenza di una democrazia malata,
nel suo modo di funzionare prima ancora che nelle sue componenti.
Riempire la piramide superiore.
La relazione Anselmi non nasconde che, ricostruita la rete dei
rapporti esecutivi e dei legami affaristici di Gelli nei diversi settori,
si è a metà del lavoro e che resterebbe da completare la metà più
interessante.
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Su questa soglia la relazione si arresta ed è questo il motivo
di fondo del voto contrario che ho espesso.
Per riempire la piramide superiore si sono subito affacciate due
teorie. La prima tende ad individuare nei legami internazionali, della
massoneria e dei servizi segreti, il centro di potere occulto che
copriva e ispirava l’azione piduista. Nei documenti raccolti vi sono
certo tracce inquietanti di tali rapporti, ma non sembrano di spessore
capace di poter dare una spiegazione convincente ai problemi
di comando e di copertura che la complessità dell’azione piduista
richiedeva.
La qualità stessa dell’azione piduista, in cui l’affarismo privato
e l’arrivismo pubblico prevalevano di molte lunghezze su sbiaditi,
e persino patetici, disegni di trasformazione politica, sembra tale
da aver potuto davvero interessare un disegno organico dei grandi
servizi segreti internazionali.
È più logica la spiegazione che vede Gelli e la P2 usare anche
di quei legami, che sicuramente esistevano per il tramite degli
uomini piduisti legati ai servizi segreti, quando erano ritenuti necessari
interventi a quel livello per il conseguimento dei fini delle
azioni piduiste e per la protezione degli uomini P2 nelle situazioni
di pericolo.
La seconda teoria mira più vicino e guarda agli intrecci politici
che l’azione del Gelli sicuramente aveva e che, in qualche modo,
emergono dai documenti in possesso della Commissione. Personalmente
sono convinto che, su questa strada, si sbaglierebbe se si
cercasse una organizzazione gerarchica di responsabilità, una continuità
univoca di rapporti.
Preferisco indicare una strada diversa, di profilo più basso,
più ancorata agli elementi disponibili. Setacciare i grandi eventi in
cui la P2 è stata coinvolta; concentrarsi su questi fatti, con la stessa
diligenza e la stessa capacità d’interpretazione dimostrata nel lavoro
svolto; riordinare le tracce degli interventi politici; valutare
le frequentazioni dei politici con Gelli e chiedersene i motivi; analizzare
a fondo il sistema e le responsabilità per le nomine nei servizi
segreti: questo è quanto la Commissione avrebbe dovuto ancora fare.
Ricostruire, in altre parole, sui fatti per quanto ad oggi già
noti il sistema di relazioni politiche che, indipendentemente da un
eventuale disegno complessivo, ha consentito a Gelli di stringere
tanti affari e di avviare tante iniziative.
Proporre risultati certi per questo lavoro oggi non è possibile
e contrasterebbe, in ogni caso, con la volontà di analisi oggettiva
che ho cercato di dare a questa relazione.
Mi concedo tuttavia di esprimere una convinzione personale.
Alla fine del lavoro non si sarebbe trovato probabilmente un disegno
organico di comando e di copertura. Si sarebbe trovato un sistema
intrecciato di complicità, di ricatti, di connivenze che attorno
alla figura di Gelli faceva ruotare affari, ambizioni personali e
disegni politici.
Il filo logico della relazione credo ora possa essere chiarito in
quattro punti: la vera P2, senza nulla togliere alle responsabilità
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già note, è nel sistema di ispirazioni e di coperture di cui poco
sappiamo; alla vera P2 abbiamo dedicato troppo poca attenzione;
per trovare la vera P2 è utile ricordare il quadro politico in cui
la P2 stessa si è sviluppata; il legame con i servizi segreti è, in
ogni fase, la costante dell’azione piduista.
Tra le molte vicende che hanno visto la P2 protagonista, indicazioni
certe sulla esistenza di rapporti politici e qualche passo
avanti per individuare le aree delle responsabilità superiori, almeno
come responsabilità connesse al ruolo politico ricoperto, si
possono cercare interpretando i documenti raccolti dalla Commissione
in tre principali indirizzi: i servizi segreti; le vicende Sindona
e Calvi, i finanziamenti Ambrosiano e Rizzoli ai partiti.
Questi tre indirizzi sono selezionati e ripresi non perché in altre
vicende (si veda l’affare Eni-Petromin) vi siano minori o meno importanti
segni di intreccio con il mondo politico, né perché si
pensa che dai tre indirizzi siano ad oggi ricavabili prove certe e
responsabilità specifiche. La loro scelta dipende dall’approfondito
quadro di conoscenza che su tali temi è assicurato anche dalle
indagini della magistratura e dall’emergere, in modo che non può
essere negato, di un costume che ha sistematicamente portato ambienti
politici ad occuparsi e ad intervenire, ben al di là del loro
ruolo, in vicende oscure e in affari discutibili.
I tre indirizzi possono essere così meglio precisati:
1) per un lungo decennio i servizi segreti sono stati in mani
piduiste. Vale la pena non fermarsi a questa constatazione, ma riflettere
sulle responsabilità di chi ha fatto queste nomine e di chi
ha avuto, nel tempo, la responsabilità politica del loro controllo;
2) nei tentativi di salvataggio di Sindona prima e di Calvi poi
è provato che molti e ripetuti furono gli interventi di uomini politici
e che questi interventi cercarono anche di influenzare decisioni
e comportamenti degli enti di vigilanza, degli organi di indagine e
della magistratura;
3) la P2, tramite l’Ambrosiano e le aziende di Rizzoli, finanziò
sistematicamente, in modo palese ed occulto, molti partiti e organi
di stampa di partiti. Se in qualche caso si può pensare a prestiti
non sospetti, vi sono prove che in altri casi la restituzione
dei debiti era affidata alla « intermediazione » dei partiti negli affari
che il creditore intendeva sviluppare.
Su questi tre indirizzi di lavoro vale la pena qualche maggior
richiamo.
Le nomine nei servizi segreti.
Il ruolo dei servizi segreti è determinante in tutta la vicenda
della P2. I servizi segreti (o uomini legati ai servizi) accompagnano
la formazione della Loggia attorno a Gelli, garantiscono a Gelli e
ai suoi uomini interventi e protezione nei casi di necessità.
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Per anni i servizi segreti hanno sviato o inquinato ogni accertamento
sulle iniziative della P2; per anni la loro attività è stata
deviata dai fini istituzionali, per operare, in modo intrecciato al
servizio di un gruppo di potere.
Per anni al vertice dei servizi segreti si sono succeduti uomini
della P2, la cui nomina è dipesa dalle decisioni del potere politico,
che si ha ragione di ritenere fosse non disattento all’importanza
delle cariche in gioco.
Al SISMI, a Miceli (piduista, coinvolto nella lotta di potere con
Maletti, all’ombra della protezione contrapposta di Moro e Andreotti),
succede l’ammiraglio Casardi (dal 31 luglio 1974 al 30 gennaio 1978).
L’amm. Casardi non risulta iscritto alla P2, ma della sua conduzione
la P2 stessa non avrà modo di dolersi, in quanto è provato che
furono inviate informative del tutto tranquillizzanti sull’attività di
Gelli e della Loggia, in anni in cui altri già avevano rilevato l’attivismo
sospetto degli stessi in molte inquietanti vicende. A Casardi
succede il gen. Santovito, dal 31 gennaio 1978 all’I 1 agosto 1981, cui
si affianca il col. Musumeci; si tratta di personalità di spicco nelle
manovre piduiste.
All’Ispettorato antiterrorismo (poi Servizio di Sicurezza), Presidente
del Consiglio Moro e Ministro della Difesa Forlani, viene nominato
il dott. Santillo (dal 1° gennaio 1975 al novembre 1977). Si
tratta del solo non piduista a coprire posizioni di rilievo, cui si
devono, non a caso, le sole note informative sull’attività di Gelli e
della P2. Ma Santillo, contrariamente alle generali attese, non viene
nominato a capo del SISDE che è invece affidato al gen. Grassini,
iscritto alla P2 (dal novembre 1977 al luglio 1981).
Nel dicembre del 1978 si istituisce il SEGRECIS. Dopo una
breve responsabilità del dott. Napolitano, il cerchio si chiude con
la designazione del prefetto Pelosi, piduista (dal 5 maggio 1978 al
16 luglio 1981).
Le nomine di Santovito, Grassini, Pelosi sono tutte effettuate
con Presidente del Consiglio Andreotti e Ministro della difesa
Ruffini.
Il quadro può essere completato con qualche richiamo agli apparati
militari.
Oltre alla presenza di uomini della P2 nei vertici dell’arma dei
carabinieri (senza peraltro che, salvo i comandi di alcune divisioni,
si sia avuto un legame con attività della P2), merita un richiamo
esplicito, per il costante intreccio in molte altre vicende oggetto di
esame, che al comando della Guardia di finanza si succedano il
gen. Giudice (dal luglio 1974 al 1978) e, dopo il generale Floriani
(dal 1978 al 1980), il gen. Giannini (dal febbraio 1980 a metà 1981).
La nomina di Giudice avvenne con Presidente del Consiglio Rumor
e Ministro della Difesa Andreotti, mentre la nomina di Giannini avvenne
con Presidente Cossiga e Ministro della Difesa Sarti (ma più
probabilmente è da considerarsi predisposto dal precedente Ministro
della Difesa Ruffini, rimasto in carica fino al 18 gennaio 1980).
Il ricorrere dei responsabili delle nomine e il succedersi nelle
nomine stesse di uomini della P2 fanno emergere, alla luce di
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quanto la Commissione ha accertato sulle deviazioni nei servizi segreti
e sul loro intreccio nelle attività della P2, una responsabilità
politica oggettiva di chi ha avuto negli anni il compito di assicurare
che i servizi ed i loro vertici non operassero fuori e contro
i delicati compiti istituzionali loro affidati.
Per salvare Sindona e Calvi.
Anni di indagini giudiziarie e il susseguirsi di inchieste parlamentari
che, pur lavorando su casi diversi, hanno trovato costanti
punti di riferimento comune, fanno emergere una continuità nelle
funzioni svolte da Sindona prima e da Calvi (con l’Ambrosiano)
poi.
Questa constatazione, che è riconosciuta vera nella generalità
delle interpretazioni sulle due vicende, si basa non solo sul proseguire
nel tempo dei rapporti con lo IOR e con ambienti vaticani,
ma sul ruolo generale che i due gruppi (la Banca Privata Italiana
nella prima parte degli anni 70 e l’Ambrosiano nella seconda parte)
hanno svolto nel panorama finanziario italiano.
Si è trattato di due gruppi orientati verso affari intrecciati con
le decisioni della politica, più disponibili alle operazioni di sostegno,
diretto ed indiretto, di cui i partiti potevano aver bisogno.
Questo spiega e giustifica lo stato di permanente conflitto che
i gruppi di Sindona e di Calvi hanno avuto (salvo brevi eccezioni)
con i « santuari » della tradizionale finanza italiana.
In entrambe le vicende il ruolo di Gelli e della P2 è non secondario.
Nel caso Sindona opera più all’esterno, come struttura di supporto
alle molte manovre del finanziere siciliano. Nel caso Calvi
assume invece una funzione più centrale, di costante riferimento in
tutte le fasi, sia di promozione di iniziative e di affari che di difesa
dell’istituto finanziario.
Sul problema Sindona la apposita Commissione parlamentare
ha lavorato bene.
Dalle carte della stessa relazione di maggioranza emerge, con
grande chiarezza e al di là delle diverse interpretazioni che dei
fatti si possono dare, il succedersi degli interventi effettuati da alcuni
politici per ricercare una soluzione che evitasse la bancarotta
delle attività finanziarie di Sindona.
Questi interventi si sono succeduti in più tempi, anche quando
la posizione giudiziaria di Sindona era ormai compromessa, in Italia
e negli Stati Uniti, e quando era chiaro che il salvataggio delle
banche sindoniane poteva avvenire solo scaricando sui conti pubblici
(o di banche pubbliche) esposizioni per centinaia di miliardi.
A questi piani di salvataggio (cui si interessarono, a vario titolo,
prima Fanfani e poi in modo più penetrante Andreotti, Stammati
ed Evangelisti) si collegarono anche le nomine ai vertici del Banco
di Roma, di persone amiche e fidate, che dovevano svolgere un
ruolo centrale nelle operazioni di sostegno, e le manovre per vincere
Camera dei Deputati — 18 — Senato della Repubblica
IX LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI
le resistenze di chi più si opponeva, primi fra tutti gli ambienti
della Banca d’Italia.
Le inquietanti incertezze che emergono dai corretti lavori della
Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona non
possono essere state fugate da un voto di maggioranza, specie
ora che trovano nuove conferme e ulteriori documentazioni nel
lavoro dei magistrati che indagano sul caso Ambrosoli e nella
recente sentenza di rinvio a giudizio.
Minori elementi si hanno per ricostruire la vicenda Calvi, forse
perché meno intenso è stato finora il lavoro della magistratura.
Si ha tuttavia l’impressione che mentre Calvi sperava di poter salvare
il suo potere finanziario per intervento dello IOR, pesantemente
coinvolto nelle sue avventure finanziarie, la P2 avesse scelto
la strada di lasciare al proprio destino Ambrosiano e Calvi, ponendo
in atto una rete protettiva (Pazienza prima e Carboni poi),
che miravano più a controllarlo che ad aiutarlo. In questo senso
si spiegano meglio i tentativi di aggancio, più di forma che di
sostanza, con un potere politico distratto e che certo si sporse
molto meno in aiuto di Calvi rispetto a quanto avesse fatto per
Sindona.
Ambrosiano e Rizzoli per finanziare alcuni partiti.
L’Ambrosiano svolse per anni un ruolo di banca di fiducia di
alcuni tra i maggiori partiti.
Il 23 dicembre 1982, il Nuovo Banco Ambrosiano trasmise alla
Commissione scheda relativa ai finanziamenti concessi negli anni precedenti
dal Banco Ambrosiano.
Alla data di costituzione del Nuovo Banco (8 agosto 1982) le
posizioni erano le seguenti:
10 PSDI aveva una posizione debitoria di 394 milioni, che
derivava da due linee di credito, prorogate in tempi successivi senza
che fossero avvenuti rientri;
la PSI aveva una posizione debitoria di 13,7 miliardi, che derivava
da una linea di credito per complessivi 9,0 miliardi, prorogata
nel tempo senza che fossero avvenuti rientri;
11 PCI aveva una posizione debitoria di 10,5 miliardi. Tale
posizione debitoria derivava da una linea di credito per complessivi
10,0 miliardi. È da notare che il 7 gennaio 1982 si era provveduto
alla copertura delle esposizioni maturate, riaprendo successivamente
una nuova linea di credito.
Mentre il PCI usava dell’Ambrosiano come di una normale linea
di credito (in cui si succedevano esposizioni e rientri), diversa è la
situazione della società editrice « Il Rinnovamento » (proprietaria di
Paese Sera), che risulta avere nelle schede trasmesse dal Nuovo Banco
Ambrosiano uno scoperto di oltre 22 miliardi di lire.
Catrtera dei Deputati — 19 — Senato della Repubblica
IX LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI
Solo dopo la costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano i partiti
concordarono il rientro e l’azzeramento delle posizioni, secondo piani
definiti con l’istituto di credito.
Diversa è, ovviamente, la posizione dei debiti di Paese Sera,
per la sopravvenuta messa in liquidazione della società proprietaria
e per le conseguenti cause, tuttora pendenti, per il riconoscimento
dei debiti.
Nei medesimi anni una funzione parallela di finanziamento ai
partiti venne svolta dalla Rizzoli; non può non sfuggire la stranezza
di questo anomalo canale finanziario che legava un’azienda, le cui
difficoltà erano note, come creditrice dei partiti da cui dipendevano
molte delle decisioni che potevano avere influenza sul futuro dell’azienda
stessa.
Vi sono alcuni documenti (rinvenuti nelle carte di Licio Gelli
a Castiglion Fibocchi) che testimoniano quanto fossero anomali e
inquietanti questi rapporti.
Il 17 aprile 1979, Flaminio Piccoli, quale presidente della Democrazia
Cristiana, riconosceva in un protocollo d’intesa un’esposizione
globale nei riguardi del gruppo Rizzoli per lire 10,6 miliardi.
Si impegnava inoltre a concordare tempi e modi di rientro. Tale
rientro era indicato poter avvenire su alcune direttrici:
a) la cessione del patrimonio immobiliare del Gruppo (Rizzoli);
b) la cessione delle partecipazioni non editoriali del Gruppo
(Rizzoli), in particolare le compagnie di assicurazione;
e) l’acquisizione di altre partecipanti editoriali cui il Gruppo
(Rizzoli) poteva essere interessato.
Per tutte tali direttrici (riferisco testualmente) « la Democrazia
Cristiana riconosce che può offrire al Gruppo il suo appoggio e la
sua intermediazione al fine di giungere a soluzioni vantaggiose per
il Gruppo e in tal senso può assicurare fin d’ora il proprio interessamento
al fine di giungere a sollecite definizioni nel comune
interesse ».
In altre parole, un partito (la D.C.), per pagare i debiti, si impegnava
a far fare buoni affari ad un proprio creditore (la Rizzoli).
Le tracce delle finalità che informarono e precedettero l’accordo
e che all’accordo stesso fecero seguito sono numerose. Nelle
testimonianze rese da Tassan Din e da Rizzoli, così come nelle
carte sequestrate, si interecciano tra Rizzoli e partito trattative su
molte materie. Esemplare è il documento relativo al salvataggio
del Gazzettino Veneto (promemoria Meccoli a Tassan Din), di pochi
giorni precedenti l’intesa complessiva soprarichiamata.
Sul versante del PSI, la Rizzoli assicurò il salvataggio de « Il
Lavoro » di Genova, mediante una complessa operazione finanziaria
con la società SOFINIM (documenti rinvenuti nell’archivio alle Bahamas
di Calvi).
Le carte raccolte gettano nuova luce anche sulla battaglia che
in quegli anni si svolse nel Parlamento per l’approvazione della
Camera dei Deputati — 20 — Senato della Repubblica
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legge sull’editoria (legge approvata il 5 agosto 1981). Per mesi le
forze politiche si scontrarono sul cosiddetto « emendamento ammazza
debiti », che avrebbe dovuto passare un colpo di spugna su operazioni
disinvolte e su anni di piraterie nei settori dell’informazione.
L’emendamento fu respinto anche per la ferma opposizione dei liberali;
c’è da chiedersi quale autonomia di giudizio potessero avere
partiti e uomini politici che si erano legati a chi maggior vantaggio
avrebbe avuto da una legge che voleva scaricare debiti privati (ancorché
di partiti) sui conti pubblici.
Un diretto filone di finanziamento a singoli uomini politici era
poi assicurato dalla stessa Rizzoli. Le testimonianze rese da Tassan
Din e da Rizzoli, prima ai giudici Pizzi e Brichetti, poi ai giudici
Dell’Osso e Fenizia sono concordanti.
Qualche richiamo merita infine il memoriale Tassan Din, inviato
alla Commissione nella scorsa primavera e il cui contenuto
è stato confermato nel corso dell’audizione. Nel memoriale sono
descritti in modo preciso i livelli di rapporto che il gruppo aveva
instaurato con i diversi partiti: tali rapporti vedevano esclusi il
PRI (salvo relazioni marginali) e, in modo totale, il solo PLI.
* * *
Non vi sono, ad oggi, elementi per ricostruire con esatta sicurezza
la parte ancora oscura della vicenda di Licio Gelli e della P2,
che ha attraversato, in modi diversi e in forme mutevoli, dieci anni
di vita italiana.
Vi sono però elementi che convincono che la P2 non è
solo nella ricostruzione proposta dalla relazione Anselmi e che indicano
le strade che potevano essere seguite per far più luce sulle
connivenze e sulle coperture che hanno consentito alla Loggia tanto
potere e che del potere della Loggia si sono serviti.

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