Archivio mensile:marzo 2014

Centrale di Trino e stoccaggio rifiuti radioattivi

Ho voluto riportare tre punti di vista in merito alla situazione della dismessa centrale nucleare di Trino Vercellese e,ancora più importante,le soluzioni per lo stoccaggio e la scelta dei siti.Con il comunicato della Sogin,rassicurante e professionalmente didascalico, ci sono i due articoli,l’uno di Cronacalive e l’altro de Linkiesta,decisamente più allarmanti e non animati da spirito aziendalista.Come si legge nel comunicato ISPRA a piè di pagina,nel settembre 2013 ancora si cerca “un confronto tecnico con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi che hanno già realizzato o stanno esercendo strutture analoghe“.Chi ne avesse voglia,può leggere i risultati della commissione di inchiesta parlamentare riguardanti i depositi nazionali, anch’essi a fine pagina.

trino

SOGIN:Centrale di Trino Vercelli.Bonifica ambientale della centrale
Nel 1999 sono stati smantellati i trasformatori che collegavano la centrale alla rete elettrica.
Nel 2002 sono state demolite le torri di raffreddamento ausiliarie.
Nel 2003 è stata effettuata la decontaminazione dei generatori di vapore.
Nel corso degli anni 2003 e 2004 sono stati demoliti gli edifici che ospitavano i generatori diesel d’emergenza e gli spogliatoi del personale.
Nel 2006 è terminata la rimozione della traversa sul Po, necessaria a garantire l’approvvigionamento idrico durante l’esercizio dell’impianto
Nel 2007 è stato completato lo smontaggio dei componenti dell’edificio turbina.
Nel gennaio 2009 è stato pubblicato il decreto di compatibilità ambientale (VIA) per “l’attività di decommissioning
– disattivazione accelerata per il rilascio incondizionato del sito”.
Nel 2009 si sono concluse le attività di adeguamento del sistema di ventilazione dell’edificio reattore e dell’impianto elettrico dell’edificio turbina e le opere di realizzazione della stazione rilascio materiali.
Sono terminati i lavori di rimozione dei componenti e dei sistemi ausiliari non contaminati della zona controllata.
Il 2 agosto 2012 è stato ottenuto il decreto di disattivazione per la centrale, che consente di avviare le attività per la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell’isola nucleare.
Sogin ha emesso il bando di gara per la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di smantellamento del circuito primario e dei sistemi ausiliari dell’edificio reattore, escluso vessel e internals, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 4 agosto 2012.
Sono in corso le operazioni di rimozione dei componenti contaminati all’interno dei locali del Radiaste. E’ stato ottenuto il nulla osta all’esercizio della ventilazione.
Il sito, libero da vincoli radiologici, sarà restituito al territorio per il suo riutilizzo nel 2024.
Gestione e messa in sicurezza dei rifiutiE’ stata completata la progettazione dell’impianto per il trattamento delle resine della centrale, sviluppato con una tecnologia innovativa, che applica il processo di ossidazione a umido (Wet Oxidation) al trattamento dei
rifiuti organici radioattivi prodotti da centrali e impianti nucleari, al fine di ridurne il volume e garantirne la sicurezza nel lungo termine.
La centrale è dotata di depositi per i residui prodotti dall’esercizio dell’impianto e per quelli derivanti dalle operazioni di bonifica ambientale.
Sono terminate, con un anticipo di tre anni, le attività di supercompattazione di oltre 1000 fusti radioattivi, riducendo il loro numero di circa di 5 volte, che consentono di non dover costruire nuovi depositi temporanei sul sito.
Gestione del combustibile
Nella centrale sono stoccate circa 15 tonnellate di combustibile irraggiato.
Ambiente
A garanzia della sostenibilità ambientale, tutti gli interventi sono progettati, realizzati e monitorati in modo da
non produrre alcun impatto, sia radiologico sia convenzionale, sull’ambiente.
Sogin gestisce un’articolata rete di sorveglianza ambientale e monitora, con controlli continui e programmati, la qualità dell’aria, del terreno (risaie e sedimenti fluviali), delle acque di falda e del Po, nonché del pesce di fiume e dei principali prodotti agro-alimentari del territorio: riso, mais, insalata, spinaci, cavoli e foraggio. Tutte le reti di sorveglianza ambientale sono state istituite al momento della costruzione degli impianti nucleari.
Ogni anno, Sogin effettua sistematicamente centinaia di misure sulle matrici alimentari e ambientali che compongono la rete in collaborazione con l’ARPA Piemonte. Da sempre, i risultati delle analisi e i valori delle formule di scarico confermano impatti ambientali radiologicamente irrilevanti. I risultati dei monitoraggi sono inviati all’Ispra, l’Autorità di sicurezza nazionale sul nucleare, e resi pubblici, anche attraverso il nostro bilancio
di sostenibilità.
Storia della centrale
La centrale nucleare “Enrico Fermi” di Trino è stata costruita da un consorzio di imprese guidate da Edison e ha rappresentato la prima iniziativa industriale italiana nel settore nucleare. La sua costruzione è iniziata nel 1961.
Dopo appena tre anni, nell’ottobre 1964, la centrale ha cominciato la produzione di energia elettrica.
L’impianto, di tipo PWR, Pressurized Water Reactor, aveva una potenza di produzione elettrica di 270 MWe.
Nel 1966 la proprietà della centrale è passata a Enel e nel 1987, all’indomani del referendum sul nucleare, la centrale è stata fermata.
Nel 1990 l’impianto è stato definitivamente disattivato. Da allora, è stato garantito il mantenimento in sicurezza delle strutture e degli impianti a tutela della popolazione e dell’ambiente.
La centrale, con il migliore standard di rendimento fra quelle italiane, ha complessivamente prodotto 26 miliardi di kWh di energia elettrica.
Nel 1999 Sogin è divenuta proprietà della centrale con l’obiettivo di realizzare la bonifica ambientale del sito.
La centrale di Trino è stata la prima delle quattro centrali nucleari italiane ad ottenere nel 2012 il decreto di disattivazione, approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Ispra) e delle altre Istituzioni competenti.

http://www.sogin.it/it/chi-siamo/bonifica-ambientale-degli-impianti-nucleari/dove-siamo/centrale-di-trino-vercelli.html

IM2

Il nucleare in Italia: la centrale di Trino Vercellese e gli incidenti.
09/06/2011
TRINO / La storia del nucleare in Italia è strettamente legata a quella di Trino. E’ qui che fu costruita a inizio anni ’60 quella che per 2 anni fu la centrale per energia atomica più potente al mondo
In quest’angolo di pianura padana, tra distese d’un verde verdissimo, campi coltivati, vigneti e risaie, si scorgono in lontananza le sagome degli impianti che ospitarono i reattori nucleari.
La storica centrale Enrico Fermi, si trova sulle sponde del Po. I lavori per costruirla iniziarono nel 1961. Durarono solo 3 anni. Poi dopo il referendum dell’87, anche questo impianto venne fermato. Da allora è in corso il cosiddetto decomissioning, il complesso e costosissimo smantellamento della centrale, che si protrarrà almeno per altri 40-50 anni.
Nel 1967 il primo incidente. Si fessurò una guaina d’acciaio di una barra di combustibile. Un incidente non di particolare gravità ma che provocò il blocco dell’impianto per 3 anni. La centrale scaricò trizio radioattivo nelle acque del Po. E non fu l’unica volta. Anche nel 79, l’impianto venne fermato per introdurre una serie di modifiche dopo l’incidente alla centrale nucleare americana di Three Miles Island.
Oggi la centrale nucleare rimane lì in un’area di fatto contaminata, inaccessibile se non dopo numerosi controlli e solo ai lavoratori che partecipano alle operazioni di smantellamento. A poca distanza ci sono alcune abitazioni.
Da tempo ferve un dibattito sull’inquinamento della falda acquifera. Sorprende vedere a poca distanza, solo al di là della strada, campi coltivati.
Ma il nucleare negli anni 70 e inizio 80 andava a gonfie vele. E nel giro di poco arrivò la decisione di costruire una seconda centrale.
Il comune con una giunta di sinistra l’approvò. Ci furono scontri violenti e proteste che non bastarono a fermare
i lavori. Fu scelta una zona più sicura, lontana dal fiume Po. Lo stop e la riconversione dell’impianto a lavori di
fatto già iniziati, costarono almeno 2.000 miliardi delle vecchie lire per i contratti non rispettati. Sarebbe stata la centrale più potente di tutte, anche rispetto a quella di Caorso. Erano previsti 2 reattori.
In questo caso, oggi non c’è il problema delle scorie, che invece continua ad esserci per l’impianto numero 1 di Trino. Gli scarti estremamente radioattivi sono stati portati a Saluggia, ad una trentina di km di distanza. E da qui verranno portati in Francia. 8 viaggi speciali a bordo di treni super scortati sono previsti entro il 2012. Ma le
polemiche si infiammano sia sulla totale mancanza di comunicazione di quando siano effettuati i trasferimenti – la popolazione non viene avvisata – sia sulla pericolosità del sito dove sono stoccate.
La zona è ultrapresidiata. E’ pressoché impossibile avvicinarsi.
Precauzioni efficaci per l’uomo ma non contro il nemico alluvione. Nel 94 e poi nel 2000, i depositi furono in grande parte sommersi. Per un soffio si evitò una catastrofe.
Lasciti a dir poco problematici del nucleare, con le cui insidie qui bisogna ancora oggi fare i conti tutti i giorni. E i cartelli non poi così veritieri comune denuclearizzato sono un lascito che diventa monito per il futuro.
Trino Vercellese sarebbe proprio uno dei primi siti a riaprire in caso di riattivazione delle centrali in Italia.

http://www.cronacalive.it/il-nucleare-in-italia-la-centrale-di-trino-vercellese-e-gli-incidenti/

Nucleare, grandi annunci ma la bonifica è “all’italiana” 17/08/2012

Trino Vercellese è una zattera galleggiante immersa nella pianura padana, appoggiata al Po e al Monferrato. Da oltre mezzo secolo, la sua storia è legata al nucleare, nonostante in 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Enrico Fermi abbia prodotto 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia, pari a circa 26 giorni di fabbisogno.
L’impianto compare all’orizzonte percorrendo, in direzione Casale Monferrato, l’ex 31 bis o il ponte sul grande fiume verso la collina: ha una base tozza, una torre affilata e un aspetto ormai antico. Poco più in là, a Leri Cavour, si ergono altre torri, con forme più “americane”, sono quelle della Galileo Ferraris, che doveva essere atomica ma con il referendum del 1987 la sua destinazione fu convertita a gas. A venti chilometri di distanza, troviamo Saluggia, capitale delle scorie (oltre l’80% dei rifiuti radioattivi italiani giacciono a due passi dalla golena della Dora Baltea). Un triangolo che non ha pari nel resto del Paese.
Torniamo alla Fermi. È qui che, in questi giorni, i riflettori sono puntati. Costruita in soli tre anni da un consorzio di imprese guidate da Edison, nell’ottobre del 1964 la centrale incominciò la produzione di energia elettrica.
Passata in mano a Enel nel 1966, la sua attività è stata fermata ventuno anni dopo.
Il 6 agosto scorso, la Sogin (società di Stato incaricata del decommissioning) ha comunicato che il ministero dello Sviluppo economico ha approvato, su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Ispra), il decreto di disattivazione per la centrale di Trino – prima a ottenerlo tra i quattro impianti italiani (Garigliano, Caorso e
Latina) – che prevede la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell’isola nucleare. «Raggiungeremo l’obiettivo, previsto nel nostro piano industriale, di terminare la bonifica del sito di Trino nel 2024», ha dichiarato l’amministratore delegato Giuseppe Nucci, che considera lo smantellamento degli
impianti nucleari, «la più grande bonifica ambientale della storia del nostro Paese».
Qualche mese fa, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, era stato più prudente sui 12 anni previsti. «Lo stato di avanzamento del decommissioning – aveva dichiarato nel corso del question time alla Camera – è attualmente valutato dalla Sogin pari al 14% e l’anno 2024 è stimato quale data presumibile di rilascio del sito, senza vincoli
di natura radiologica».
Per la disattivazione dell’impianto vercellese, il piano Sogin prevede 234 milioni di euro e due fasi: la prima, riguarda il completamento delle attività di smantellamento, per il 2019, con il cosiddetto “Brown field” (i rifiuti vengono stoccati in depositi temporanei). Nella seconda fase, per un costo di 52 milioni, le scorie verranno trasferite, cinque anni dopo, al *deposito nazionale. L’area di Trino – dice Sogin – sarà così libera da vincoli radiologici, diventerà “Green field” (prato verde).
Esiste, però, un particolare che mette in dubbio un possibile lieto fine. Manca ancora il deposito nazionale,secondo una legge dello Stato (368/2003) doveva essere costruito entro il *31 dicembre 2008, ma quattro anni dopo non è stato individuato. «Non essendoci il sito nazionale, né i criteri per l’individuazione, la disattivazione completa di Trino, come di altre località, non sarà possibile», dice Gianpiero Godio, di Legambiente Vercelli, già
tecnico Enea. «Così com’è – aggiunge – è solo una finta disattivazione, si tratta di una messa in ordine delle scorie. Il rischio reale è che queste rimangano sul territorio. La strategia di Sogin, a dispetto delle parole, pare quella di trasformare i siti in depositi di se stessi. Si dovrebbe invertire, invece, il percorso: prima il sito, poi la disattivazione. Come associazioni ambientaliste avevamo chiesto la sospensione dell’autorizzazione nel caso in cui fosse emanato il decreto. Ora, presenteremo ricorso al Tar».
Il Piemonte è la regione che sconta maggiormente il peso del nucleare pregresso. Secondo l’ultimo Annuario dei dati ambientali dell’Ispra, il 72% dei rifiuti radioattivi, in termini di attività, presenti in Italia, si trova qui. La percentuale sale al 96% in un virtuale inventario che comprende rifiuti radioattivi, sorgenti dismesse e combustibile irraggiato (in base ai dati del 2010).A Bosco Marengo (provincia di Alessandria), a Saluggia (dove è previsto il contestato mega D2) e a Trino (provincia di Vercelli) sono già stati autorizzati, oppure sono in
avanzato corso di autorizzazione, nuovi depositi nucleari (temporanei).
Finora il problema dell’individuazione del sito italiano è stato rimandato. Secondo una direttiva europea, entro il 2015 i Paesi membri dovranno scegliere i luoghi per i *depositi definitivi. Negli ultimi anni sono spuntate quasi clandestinamente liste e mappe di siti idonei. Si diceva che Emilia-Romagna e Basilicata fossero in pole position.
Recentemente, rispondendo a un’interrogazione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha confermato la presenza di uno studio della Sogin, ma come documento “preliminare” svolto d’ufficio dalla società e non divulgato: «In carenza dei presupposti normativi, non potrà avere certamente seguiti procedimentali», si è trattato solo di «un apprezzabile impegno del soggetto
gestore sulla strada della individuazione non ulteriormente procrastinabile del sito dove realizzare il parco tecnologico (con annesso deposito, ndr)».
Sul tema, l’allora ministro Corrado Passera aveva ipotizzato che «una prima proposta di mappa da Sogin» sarebbe potuta arrivare «entro i primi mesi del 2013» e che «gli investimenti per il parco tecnologico» ammonterebbero «a 2,5 miliardi di euro».
Nella centrale Enrico Fermi – divenuta nel 1999 proprietà della Sogin – negli ultimi 15 anni è stato smantellato il 40% degli impianti. Sono state demolite le torri di raffreddamento, abbattuta la torre meteorologica, decontaminati i generatori di vapore, smantellati gli edifici che ospitavano i generatori diesel d’emergenza, rimossa la traversa sul Po, necessaria a garantire l’approvvigionamento idrico, smontati i componenti dell’edificio
turbina. Il paesaggio in parte è cambiato. E ancora cambierà.
Trino, nonostante le due alluvioni, 1994 e 2000, che l’hanno duramente provata (ridotta la popolazione di quasi mille unità, 7.500 abitanti), è rimasta se stessa: caparbia. Prova a reagire anche se il nucleare da manna (negli anni ’60) è diventata una mannaia. In Comune, dopo la caduta della giunta di centrodestra (sindaco Marco Felisati, eletto nel 2009), siede da qualche mese un commissario, Raffaella Attianese. In questi giorni è in vacanza. È rimasto solo qualche impiegato, che subito si irrigidisce appena si nomina l’argomento atomico.
D’altronde, il tema rimane scottante: il decreto di disattivazione della centrale non è ancora stato pubblicato sull’albo pretorio online. Quello che prevede il “prato verde”, che qualcuno immagina come un pioppeto lungo il fiume.
«Sembra – sottolineano i dirigenti locali del Pd insieme ai parlamentari Luigi Bobba e Roberto Della Seta – di trovarsi davanti a un’operazione volta a risolvere per sempre il problema dell’eredità nucleare per il nostro territorio. Purtroppo così non è. Chiediamo prima il deposito nazionale e poi lo smantellamento. Un processo così delicato non può realizzarsi senza il coinvolgimento e la piena informazione dei cittadini e degli enti locali.
Sogin non pensi di comportarsi come sta facendo a Saluggia, dove costruisce il deposito D2 mai sottoposto a valutazione di impatto ambientale, malgrado sia destinato a ospitare rifiuti radioattivi a elevata intensità».
I tempi del nucleare sono lunghi, lunghissimi. È innegabile, al di là delle posizioni contrapposte, che rimanga un problema annoso. Secolare? Le barre di combustibile irraggiato sono partite da Caorso, Saluggia e Trino in direzione La Hague, Francia, per il riprocessamento, ma torneranno in Italia nel 2025. E faranno, probabilmente,
ancora discutere.
http://www.linkiesta.it/italia-nucleare

*Settembre 2013 Nota informativa ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)sulla predisposizione dei criteri tecnici di localizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi

L’ISPRA ha predisposto una prima bozza del documento sui criteri tecnici di localizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi, ritenendo necessario svolgere, prima della loro emanazione ed in linea con le prassi internazionali in campo nucleare, un confronto tecnico con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi che hanno già realizzato o stanno esercendo strutture analoghe, nonché di sottoporre i criteri elaborati ad una revisione internazionale condotta dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

19 dicembre 2012 Camera dei Deputati COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI
…A venticinque anni dal referendum che, nel novembre 1987, ha portato alla chiusura degli impianti nucleari italiani, la situazione generale dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale può dirsi ancora precaria.Il dato di fondo che determina tale precarietà è la perdurante mancanza di un sito nazionale ove i rifiuti possano essere depositati o smaltiti nelle condizioni di sicurezza che gli standard attuali possono garantire. Tale mancanza, infatti, fa sì che, nella stragrande maggioranza dei casi, i rifiuti radioattivi debbano ancora oggi essere conservati presso gli stessi singoli impianti – centrali, installazioni sperimentali, reattori di ricerca – sparsi sul territorio italiano, nei quali sono stati a suo tempo prodotti e nei quali, sia pure in quantità minore, continueranno a essere prodotti sino a quando le operazioni di decommissioning non saranno portate a termine, poiché anche le attività necessarie per il mantenimento in sicurezza degli impianti, ancorché spenti, generano
rifiuti.I rifiuti prodotti nell’impiego di sorgenti radioattive al di fuori degli impianti nucleari, e cioè nelle attività industriali, nella ricerca e, soprattutto, in medicina, sono invece raccolti in alcuni deposti temporanei di dimensioni relativamente ridotte, per poi in genere confluire, come meglio si dirà, in un unico deposito, prossimo a Roma,anch’esso temporaneo, ma che per quei rifiuti surroga, in una indefinita provvisorietà, il deposito nazionale.
Ad aumentare l’attuale stato di precarietà sta il fatto che, spesso, i rifiuti radioattivi si trovano ancora nello stato in cui sono stati prodotti, senza aver subito, cioè, operazioni di trattamento e di condizionamento. Con il condizionamento, in particolare, i rifiuti vengono inglobati – se solidi – o solidificati – se liquidi – in matrici solide inerti, tipicamente cemento, in casi particolari vetro, che costituiscono la prima barriera contro la dispersione della radioattività nell’ambiente. È evidente come il condizionamento, sempre molto importante, sia
fondamentale nel caso dei rifiuti liquidi, in considerazione delle maggiori potenzialità di contaminazione che questi hanno a seguito di accidentali spargimenti.
Nella tabella 2 è presentato l’elenco e la relativa ubicazione degli impianti nucleari e dei depositi temporanei, nonché le quantità di rifiuti radioattivi detenuti, in volume e in attività. Si precisa che nella tabella sono indicate come depositi quelle installazioni dove non vengono prodotti rifiuti, ma che sono destinate a ospitare rifiuti prodotti da altre installazioni e a ciò autorizzate.Come si può constatare, l’esercente del maggior numero di impianti nucleari – e anche dei più rilevanti, a partire dalle quattro centrali elettronucleari realizzate in Italia – è la SOGIN (società gestione impianti nucleari), società per azioni a capitale interamente pubblico, costituita nel 1999 nell’ambito del processo di liberalizzazione del
mercato elettrico, con il compito di gestire il decommissioning delle quattro centrali già dell’ENEL, tutte spente da anni, nonché il combustibile nucleare e i rifiuti radioattivi presenti nelle stesse centrali. Dal 2003 alla Sogin è stata attribuita anche la gestione degli impianti del ciclo del combustibile esistenti in Italia, quasi tutti appartenenti all’ENEA, anch’essi chiusi da anni.

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Complessivamente, negli impianti e nei depositi sopra elencati sono contenuti oltre 28 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ripartiti nelle tre categorie e tra rifiuti condizionati e non condizionati, come mostra la tabella 3. Tenuto conto che i rifiuti di prima categoria non richiedono condizionamento, la frazione dei rifiuti condizionati è come detto ancora piuttosto bassa, intorno al 25 per cento del totale.

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Nella tabella 4 è presentata, invece, la ripartizione dell’intero inventario nazionale tra le diverse regioni che ospitano impianti nucleari o depositi temporanei. In termini di volume il quantitativo maggiore è presente nel Lazio, dove confluisce, nel deposito NUCLECO, la gran parte dei rifiuti radioattivi di origine non nucleare prodotti in Italia. In termini di contenuto di radioattività, la maggiore concentrazione è, invece, in Piemonte, soprattutto per la presenza dell’impianto EUREX, a Saluggia, dove da decenni sono detenuti , ancora allo stato liquido in cui sono stati prodotti, rifiuti radioattivi che, da soli, rappresentano oltre i due terzi dell’inventario nazionale…

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http://leg16.camera.it/544?stenog=/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/015&pagina=d020#04

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La rilevanza della fusione chimica tra le chiome degli alberi della foresta amazzonica

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Le chiome degli alberi delle foreste amazzoniche sono gli organismi chiave di volta che creano l’habitat per un enorme assortimento di flora e la fauna e determinano l’immagazzinamento di carbonio prodotto dalle foreste tropicali. Determinare la diversità funzionale della canopia degli alberi è, quindi, critico per capire come le foreste tropicali si sono create e predire le risposte dell’ecosistema al forzato cambiamento ambientale. Attraversando il gigantesco corridoio verde tra le Ande del Perù e il Rio delle Amazzoni,raccogliendo e analizzando il fogliame di 2.420 specie di alberi in 19 foreste in Amazzonia occidentale,è stato scoperto un modello di assemblaggio in grande scala delle chiome con tanto di interazione chimica fra le migliaia di alberi.

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Questo modello geografico e filogenetico creatosi all’interno e tra le comunità forestali fornisce una prospettiva diversa sulle alterazioni attuali e future della vita delle foreste amazzoniche occidentali derivanti dall’uso (talvolta sconsiderato) del suolo e
l’eventuale cambiamento climatico.Da rivedere,alla luce di queste scoperte,anche la politica di disboscamento anche selettivo,in quanto va a disturbare la completezza della parte aerea delle foreste tropicali.Importante è stabilire una scala di priorità tra gli interessi delle multinazionali del legname,i costruttori delle mitiche transamazzoniche,i bisogni del Brasile e la salute del pianeta.

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Fonte:
http://www.pnas.org/content/early/2014/02/26/1401181111
Amazonian functional diversity from forest canopy chemical assembly.

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