Archivio mensile:ottobre 2009

L’Araba Fenice delle meduse

 

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Rifiuti nucleari:nessuno sa dove nasconderli

Traffico di rifiuti nucleari dalla Francia verso la Siberia.

Secondo il giornalista Laure Noualhat, questo è stato possibile solamente grazie ad un “errore giudiziale”: perché l’uranio impoverito, l’uranio ed il plutonio ricaricato non erano considerati come rifiuti atomici, ma piuttosto come “materiale radioattivo.” Di conseguenza, gli scarti instradati ufficialmente via mare verso la Russia non erano ufficialmente finalizzati al trattamento come rifiuti atomici perché ciò sarebbe stato severamente vietato dalle normative in materia.Il ministro francese dell’ambiente, Chantal Jouanno, ha avviato un’inchiesta su questo affare. Ha dichiarato martedì 13 ottobre su Francia-Info che l’industria nucleare francese dovrebbe essere totalmente trasparente.” Un gruppo di manifestati aderenti a “Sortir du nucléaire” ha accusato il ministro Jouanno di aver tentato di guadagnare tempo prima di aprire un’inchiesta. Questo gruppo ha chiesto che i rifiuti atomici siano riportati in Francia.
La Francia, come la Germania, non ha trovato ancora un luogo permanente per collocare i suoi rifiuti nucleari. Le autorità francesi incaricate del nucleare hanno intenzione di collocare i rifiuti nucleari prodotti negli ultimi tre decenni e quelli che produrranno
in avvenire, vicino a Bure, all’est della Francia, in una fossa a 500 metri, 1640 piedi, di profondità.
Source: spreadthetruth.fr

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I bambini ci osservano:

 

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Una valigia di rifiuti nucleari

Qualche IMBECILLE ha pontificato (senza avere nessuna conoscenza in merito) che i rifiuti di una centrale atomica stanno in una valigia e “basta”<vetrificarli,immergerli nel cemento e seppellirli in una profonda caverna>…sic!.

Un palazzo di sessanta piani di paure atomiche (Flavia Amabile)

La mappa dei 53 mila metri cubi di scorie nucleari custoditi in Italia.
ROMA – Le centrali nucleari sono chiuse dal 1987, eppure in Italia ci sono: 53 mila metri cubi di rifiuti nucleari, quanto un palazzo di sessanta piani. La verità è che più che chiuse le centrali sono in stato di «custodia protetta passiva», dunque continuano a produrre ogni anno una certa quantità di rifiuti radioattivi. A questi vanno aggiunti altri 2mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di origine medica e sanitaria, o creati durante le attività di ricerca o simili, e poi rottami metallici, vecchi quadranti luminescenti, parafulmini.
Cerchiamo di capire dove sono. Il rapporto di Legambiente risale al 1999 ma è ancora valido. Il primo nome citato è il Centro Enea di Rotondella, conosciuto anche come «Trisaia», in provincia di Matera dove a quasi trent’anni dall’avvio del programma, si trovano ancora 2,3 metri cubi di rifiuti liquidi mai solidificati nonostante le ripetute richieste degli organi competenti. I rifiuti, oltretutto, sono contenuti in strutture metalliche di acciaio e carbonio che ormai non sono più in grado di garantire la tenuta. Il centro di Trisaia ospita anche 64 elementi di combustibile irraggiato, attualmente sospesi in una piscina di stoccaggio, circa 3 metri cubi di prodotto fissile e fertile (uranio e torio), 14 container di rifiuti biomedicali; dagli anni Sessanta è la sede dell’unico cimitero di rifiuti nucleari esistente in Italia, quattro fosse in cui sono stati accumulati rifiuti solidi radioattivi ad alta attività (pari a circa 100 curie) contenenti cobalto 60, Cesio ed altri radionuclidi. I rifiuti sono stati cementificati e le fosse ricoperte con uno strato di bitume.
Durante l’attività le centrali nucleari hanno prodotto 1916 tonnellate di combustibile esausto, 328 delle quali sono ancora stoccate in Italia presso gli impianti di Caorso e Trino e la vasca del reattore di ricerca Avogadro a Saluggia. Quello di Saluggia è un deposito particolarmente a rischio, si trova sulle sponde della Dora Baltea, a due chilometri dalla confluenza con il Po, sopra le più importanti falde acquifere del Piemonte: nessuno può immaginare che cosa può accadere in caso di alluvione. Ci sono poi la centrale del Garigliano in provincia di Caserta dove è in funzione un impianto per il recupero e la solidificazione di liquidi e fanghi prodotti in passato e stoccati, e quello di Casaccia nel Lazio dove opera un impianto per l’estrazione di particelle alfa dei rifiuti del plutonio in modo da diminuirne la radioattività. Coperte da segreto militare sono tutte le informazioni sulla centrale nucleare della base di Pisa, ma è presumibile che rifiuti siano conservati anche lì.
Ai depositi delle centrali vanno aggiunti i depositi pubblici e privati delle scorie create dagli ospedali, non sempre del tutto in linea con le norme di sicurezza stabilite dalla legge. Secondo i dati raccolti dal Servizio di prevenzione sanitaria della Regione Lombardia, ad esempio, in un solo anno (tra il giugno 1997 e il giugno 1998) le aziende sanitarie lombarde hanno rilevato più di 100 carichi di rottami metallici radiocontaminati, quasi tutti in provincia di Brescia, evidentemente sfuggiti ai controlli doganali. Nel 55% dei casi l’oggetto radioattivo era costituito da materiale metallico radiocontaminato, nel 17% dei casi da vere sorgenti radioattive e nel 18% dei casi da quadranti di strumenti. In alcune sporadiche occasioni sono stati ritrovati parafulmini radioattivi e rilevatori di fumo. E poi vanno contati resine, fanghi, rifiuti attivi secchi, rifiuti solidi o liquidi in attesa di trattamento.
C’è poi un ulteriore quantità di materiale radioattivo su cui si hanno poche informazioni, quello proveniente dai traffici illeciti. Il rapporto di Legambiente ricorda che nel periodo 1996-1998, in particolare, risultavano entrati 2 milioni e 260mila tonnellate di rottami ferrosi attraverso i valichi ferroviari di Gorizia e Villa Opicina e quello stradale di Valico Sant’Andrea, lungo la frontiera orientale italiana: oltre 15mila tonnellate sono risultate radioattive e rispedite oltre confine.

La Stampa del 24/11/2003

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Henri Cartier Bresson

Due foto stupende di Henri Cartier Bresson:

 

 

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Chernobyl

Le foto che vedete sono del paese di “Pripyat” a circa 1,8 chilometri dalla centrale di Chernobyl.Le prime  sono della gente che vive tranquillamente,per nulla preoccupata dalla vicinanza con la centrale,rassicurata dai politici e dagli ingegneri nucleari pensa di non avere nulla da temere,si sposa lavora,vive.

 

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Si nota un centro abitato in espansione. con la centrale sullo sfondo, anch’essa con lavori di ingrandimento in corso.

https://i0.wp.com/www.heidibradner.com/galleries/chernobyl/images/06-pripyat.jpg

https://i0.wp.com/pripyat.com/sites/default/files/imagecache/node-gallery-display/1349_3.jpg

Il secondo gruppo di foto sono del 2006,20 anni dopo “l’incidente”.Tutto è drammaticamente immobile,cristallizzato dalle radiazioni.Sembra tutto uguale, salvo che la presenza della ruggine e delle piante che piano piano riprendono il loro spazio e della rumorosa assenza dell’uomo.Le radiazioni sono ancora li,fortissime,ma non si vedono.Balzano agli occhi solo i frutti: gonfi,malati,corrotti.
Nessuno degli abitanti di Pripyat pensava di morire.

https://i0.wp.com/lh6.ggpht.com/_dlkAw43cLC0/Sco7tQmGUTI/AAAAAAAAECU/bdhbUB-n7g0/s800/Chernobyl-Today-A-Creepy-Story-told-in-Pictures-funfair.jpg

https://i0.wp.com/lh6.ggpht.com/_dlkAw43cLC0/ScynEPrNBkI/AAAAAAAAEFw/wO5yO3zT--0/Chernobyl-Today-A-Creepy-Story-told-in-Pictures-school6.jpg

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La situazione delle radiazioni

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Il mostro:

https://i0.wp.com/static.flickr.com/48/135702948_21ec392de1.jpg

Un volo sulla tragedia infinita:http://www.dailymotion.com/embed/video/xapxzl
Sorvolare Chernobyl dopo 20 anni.


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Cuore di tenebra

Alcune delle polveri  più fredde e scure dello spazio brillano in questa immagine a raggi infrarossi dall’Osservatorio Herschel, una missione ESA con la partecipazione dalla NASA. L’immagine è  composta dalla luce catturata simultaneamente da due dei tre strumenti di Herschel:la fotocamera di matrice photodetector e lo spettrofotometro con il suo ricevitore di immagini spettrali e fotometriche.L’immagine rivela una fredda e turbolenta regione dove il materiale comincia appena a comprimersi per creare nuove stelle. Esso è situato sul piano della nostra galassia,la via lattea, 60 gradi dal centro.

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Mobilitazioni popolari.Se il buongiorno si vede dal mattino!

Dissesto idrogeologico
Dissèsto idrogeològico Degradazione ambientale dovuta principalmente all’attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (rocce scarsamente coerenti), o intensamente denudati per la distruzione del ricoprimento boschivo. Può essere prevenuto con opere di imbrigliamento dei deflussi, di consolidamento dei terreni, di rimboschimento e di razionalizzazione delle pratiche agricole.
Fattori di rischio
Rientrano nell’ambito dei fenomeni che alterano, spesso in modo catastrofico, l’equilibrio geomorfologico dei territori, l’erosione idrica diffusa e profonda (frane), le alluvioni, l’erosione marina (arretramento dei litorali), la subsidenza indotta dalle attività antropiche, e le valanghe, ovvero tutti quei fenomeni per combattere gli effetti dei quali si richiedono interventi di difesa del suolo finalizzati alla previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell’ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi; la tendenza all’aumento degli eventi idrogeologici catastrofici, fatta registrare negli ultimi anni, si può mettere in relazione con pratiche di gestione del territorio che hanno privilegiato l’occupazione e lo sfruttamento indiscriminati del suolo, e solo marginalmente con mutazioni delle condizioni meteorologiche medie indotte da variazioni climatiche.
normativa sulla prevenzione
La normativa per la difesa del suolo ha subito alcune integrazioni, resesi necessarie per la mancata completa attuazione della l. 18 maggio 1989, n. 183, legge quadro in materia. Tale legge individuava nel piano di bacino idrografico lo strumento principale per la gestione del pericolo idrogeologico, demandandone l’elaborazione alle Autorità di bacino, per i bacini di rilievo nazionale, e alle Regioni, per i bacini minori. Tuttavia, palesi conflitti con altri enti competenti sul territorio e carenze tecniche hanno impedito alle Autorità di bacino di definire i suddetti piani e, nel corso del tempo, anche in ragione della l. 4 dic. 1993, n. 493, che aveva previsto una gradualità nella realizzazione degli stessi, si è proceduto attraverso un’impostazione per progetti formulati secondo aree omogenee o settori tematici (piani di stralcio). Gli atti giuridici per la definizione di questi strumenti di pianificazione sono quasi sempre intervenuti al seguito di catastrofi idrogeologiche: il d. l. 11 giugno 1998, n. 180, confermato dalla l. 3 ag. 1998, n. 267, e corredato per gli indirizzi di coordinamento dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 sett. 1998, è successivo all’evento calamitoso, causato da rovinose colate di fango, occorso in diversi territori del Salernitano, dell’Avellinese e del Casertano, noto con il nome del comune più colpito, Sarno; il d. l. 12 ott. 2000, n. 279, che stabilisce interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, segue i tragici eventi di esondazione, causati da intense precipitazioni, verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria. Le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e le Regioni per i restanti bacini sono vincolate ad adottare piani di stralcio per l’assetto idrogeologico contenenti, in partic., l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia. L’attività di pianificazione della lotta al d. i. ha comunque conseguito negli anni più recenti risultati significativi. Nel 1999, infatti, sono stati approvati alcuni importanti piani di stralcio (di bacino “Attività estrattive” e “Qualità delle acque” da parte dell’Autorità di bacino del fiume Arno, piani di stralcio “Assetto idrogeologico” per il fiume Po, “Riduzione del rischio idraulico” per il fiume Arno, “Difesa dalle alluvioni” e “Tutela ambientale della zona Le Mortine” per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno) e sono stati avviati 109 interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in aree che presentano complessivamente una popolazione altamente esposta di 130.000 persone. È stata inoltre predisposta dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, in collaborazione con il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali e l’ANPA, la prima analisi omogenea a livello nazionale del pericolo idrogeologico (livello di attenzione per il rischio idrogeologico definito in frazione di un indice calcolato a scala comunale), dalla quale sono risultati 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani). Per tale elaborazione gli estensori si sono avvalsi dei dati risultanti dall’attività degli enti preposti allo studio e alla gestione dei fenomeni associati al d. i.: GNDCI (Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche); Dipartimento della protezione civile; Servizio geologico nazionale; Servizio idrografico e mareografico nazionale. In partic., il GNDCI, nel contesto del progetto AVI (Aree vulnerate italiane), ha ultimato (1998) l’archivio digitale delle zone colpite da frane e inondazioni, provvedendo alla pubblicazione di una carta sinottica a scala 1:1.200.000, nella quale sono riportate oltre 15.000 località che hanno subito eventi catastrofici (9085 frane e 6456 inondazioni); sono stati completati gli studi di verifica del grado di efficacia dell’archivio riguardo alla valutazione e alla perimetrazione della pericolosità da frane e inondazioni. Inoltre, il Servizio geologico nazionale ha portato a termine nel 1999 la determinazione della “propensione al d.” dei territori comunali: partendo dalla carta della propensione al d. della litologia affiorante, dedotta dall’elaborazione sintetica georeferenziata dei dati AVI relativi ai fenomeni franosi sulla carta geologica alla scala 1:500.000, è stato calcolato, per ogni formazione geologica, un indice di franosità come rapporto tra il numero di frane occorse nella formazione stessa e l’area della sua superficie affiorante, in base al quale i terreni sono stati classificati ad alta, media o bassa propensione al d.; si è successivamente giunti alla carta della classificazione dei territori comunali in base alla propensione al d., calcolando, per ogni singolo comune, la percentuale di territorio ricadente nelle classi precedentemente definite.

Faccio notare al ministro Scaiola che stiamo parlando (solo) di pale eoliche e non di centrali nucleari.Ne vedremo delle belle.

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Doisneau,foto come quadri…

Due splendide fotografie di  Robert Doisneau che sembrano opere di pittori impressionisti.
https://i0.wp.com/www.artvalue.com/image.aspx
Cyclo cross,1947
https://i0.wp.com/masters-of-photography.com/images/screen/doisneau/doisneau_factory.jpg
Factory,1946

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Dissesto idrogeologico italiano


dissesto idrogeologico 
dissèsto idrogeològico Degradazione ambientale dovuta principalmente all’attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (rocce scarsamente coerenti), o intensamente denudati per la distruzione del ricoprimento boschivo. Può essere prevenuto con opere di imbrigliamento dei deflussi, di consolidamento dei terreni, di rimboschimento e di razionalizzazione delle pratiche agricole.
fattori di rischio
Rientrano nell’ambito dei fenomeni che alterano, spesso in modo catastrofico, l’equilibrio geomorfologico dei territori, l’erosione idrica diffusa e profonda (frane), le alluvioni, l’erosione marina (arretramento dei litorali), la subsidenza indotta dalle attività antropiche, e le valanghe, ovvero tutti quei fenomeni per combattere gli effetti dei quali si richiedono interventi di difesa del suolo finalizzati alla previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell’ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi; la tendenza all’aumento degli eventi idrogeologici catastrofici, fatta registrare negli ultimi anni, si può mettere in relazione con pratiche di gestione del territorio che hanno privilegiato l’occupazione e lo sfruttamento indiscriminati del suolo, e solo marginalmente con mutazioni delle condizioni meteorologiche medie indotte da variazioni climatiche.
normativa sulla prevenzione
La normativa per la difesa del suolo ha subito alcune integrazioni, resesi necessarie per la mancata completa attuazione della l. 18 maggio 1989, n. 183, legge quadro in materia. Tale legge individuava nel piano di bacino idrografico lo strumento principale per la gestione del pericolo idrogeologico, demandandone l’elaborazione alle Autorità di bacino, per i bacini di rilievo nazionale, e alle Regioni, per i bacini minori. Tuttavia, palesi conflitti con altri enti competenti sul territorio e carenze tecniche hanno impedito alle Autorità di bacino di definire i suddetti piani e, nel corso del tempo, anche in ragione della l. 4 dic. 1993, n. 493, che aveva previsto una gradualità nella realizzazione degli stessi, si è proceduto attraverso un’impostazione per progetti formulati secondo aree omogenee o settori tematici (piani di stralcio). Gli atti giuridici per la definizione di questi strumenti di pianificazione sono quasi sempre intervenuti al seguito di catastrofi idrogeologiche: il d. l. 11 giugno 1998, n. 180, confermato dalla l. 3 ag. 1998, n. 267, e corredato per gli indirizzi di coordinamento dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 sett. 1998, è successivo all’evento calamitoso, causato da rovinose colate di fango, occorso in diversi territori del Salernitano, dell’Avellinese e del Casertano, noto con il nome del comune più colpito, Sarno; il d. l. 12 ott. 2000, n. 279, che stabilisce interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, segue i tragici eventi di esondazione, causati da intense precipitazioni, verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria. Le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e le Regioni per i restanti bacini sono vincolate ad adottare piani di stralcio per l’assetto idrogeologico contenenti, in partic., l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia. L’attività di pianificazione della lotta al d. i. ha comunque conseguito negli anni più recenti risultati significativi. Nel 1999, infatti, sono stati approvati alcuni importanti piani di stralcio (di bacino "Attività estrattive" e "Qualità delle acque" da parte dell’Autorità di bacino del fiume Arno, piani di stralcio "Assetto idrogeologico" per il fiume Po, "Riduzione del rischio idraulico" per il fiume Arno, "Difesa dalle alluvioni" e "Tutela ambientale della zona Le Mortine" per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno) e sono stati avviati 109 interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in aree che presentano complessivamente una popolazione altamente esposta di 130.000 persone. È stata inoltre predisposta dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, in collaborazione con il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali e l’ANPA, la prima analisi omogenea a livello nazionale del pericolo idrogeologico (livello di attenzione per il rischio idrogeologico definito in frazione di un indice calcolato a scala comunale), dalla quale sono risultati 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani). Per tale elaborazione gli estensori si sono avvalsi dei dati risultanti dall’attività degli enti preposti allo studio e alla gestione dei fenomeni associati al d. i.: GNDCI (Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche); Dipartimento della protezione civile; Servizio geologico nazionale; Servizio idrografico e mareografico nazionale. In partic., il GNDCI, nel contesto del progetto AVI (Aree vulnerate italiane), ha ultimato (1998) l’archivio digitale delle zone colpite da frane e inondazioni, provvedendo alla pubblicazione di una carta sinottica a scala 1:1.200.000, nella quale sono riportate oltre 15.000 località che hanno subito eventi catastrofici (9085 frane e 6456 inondazioni); sono stati completati gli studi di verifica del grado di efficacia dell’archivio riguardo alla valutazione e alla perimetrazione della pericolosità da frane e inondazioni. Inoltre, il Servizio geologico nazionale ha portato a termine nel 1999 la determinazione della "propensione al d." dei territori comunali: partendo dalla carta della propensione al d. della litologia affiorante, dedotta dall’elaborazione sintetica georeferenziata dei dati AVI relativi ai fenomeni franosi sulla carta geologica alla scala 1:500.000, è stato calcolato, per ogni formazione geologica, un indice di franosità come rapporto tra il numero di frane occorse nella formazione stessa e l’area della sua superficie affiorante, in base al quale i terreni sono stati classificati ad alta, media o bassa propensione al d.; si è successivamente giunti alla carta della classificazione dei territori comunali in base alla propensione al d., calcolando, per ogni singolo comune, la percentuale di territorio ricadente nelle classi precedentemente definite.
Treccani.it

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