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ITALIA: CATASTROFE NUCLEARE INSABBIATA DALLO STATO E POPOLAZIONE PREDA DEL CANCRO

Italia, centrale nucleare del Garigliano (foto Gianni Lannes)

– di Gianni Lannes –
Quasi nessuno immagina che nel Golfo di Gaeta siano stati scaricati dalla centrale nucleare del Garigliano addirittura radionuclidi artificiali come il Plutonio 239, il Cesio 137 e il Cobalto 60. Le prove dell’ecatombe sono racchiuse in alcuni studi scientifici, come la ricerca di A. Brondi, O. Ferretti, e C. Papucci dal titolo“Influenza dei Fattori Geomorfologici sulla distribuzione dei Radionuclidi. Un esempio: dal M. Circeo al Volturno” (Atti del Convegno italo-francese di radioprotezione. Firenze, 30 Maggio – 1 Giugno 1983), e quella di R. Delfanti e C. Papucci “Distribuzione del 239 Pu, 240Pu e del 137Cs nei sedimenti del Golfo di Gaeta: osservazioni sui meccanismi di accumulo e sulle velocità di sedimentazione”(ENEA – Pas). Sull’aumento della radioattività nei sedimenti marini del golfo di Gaeta ha scritto il 4 agosto 1984 anche l’Istituto Superiore di Sanità, ma senza adottare alcun provvedimento per tutelare l’ignara popolazione:
«Per una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo del Cobalto e del Cesio, scaricati nel fiume Garigliano, all’interno del golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento della centrale».

 

Nel primo documento ritroviamo la citazione relativa all’inquinamento da Cesio 137, «le attività del Cesio137, nei primi due centimetri dei fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore concentrazione, corrispondono a 7millicurie/kmq (259MBq/kmq)».
Nel secondo rapporto si commenta l’inquinamento da plutonio: «Nella figura allegata sono riportati gli inventari del 239, 240 Pu nei sedimenti, che decrescono all’aumentare della batimetrica (…). Inventari particolarmente elevati (da 2 a 4 volte le deposizioni da fallout, pari a 81 Bq/mq a queste latitudini), sono stati rilevati nell’area fra le batimetriche di 30 e 50m».

Prima o poi bisognerà farci i conti seriamente con questo disastro in atto, provocato dall’Enel e tollerato dai governi italiani. Bentornati alla centrale nucleare del Garigliano in riva al Tirreno. Un impianto di proprietà, appunto dell’Enel, posizionato fra Napoli e Roma, e non ancora bonificato, 36 anni dopo la disattivazione del reattore. Tranquilli, i danni ambientali e sanitari sono andati già in onda, provocando malattie, malformazioni, mutazioni genetiche e morte. Alcuni studi scientifici del Cnen e dell’Enea hanno certificato un inquinamento radioattivo già a partire dagli anni ’70, vale a dire 16 anni prima del disastro di Chernobyl, con cui gli scienziati italidioti di regime giustificano tutto, ma proprio tutte le nefandezze statali.
Ecco cosa attestano gli atti di un convegno italo-francese datato 1983, sotto l’egida dell’Enea:
«Dal maggio 1980 al giugno 1982 sono state condotte quattro campagne radioecologiche nell’area antistante la foce del fiume Garigliano, sul quale a circa 10 km dalla foce è situata una centrale elettronucleare da 160 MWe, in esercizio dal 1964 al 1978… Sono stati prelevati 160 campioni di sedimenti superficiali, benthos, pesci e cefalopodi, alghe, macrofite fluviali e fanerogame marine… I radionuclidi artificiali gammaemettitori sistematicamente rilevabili nell’ambiente marino sono il Cesio 137 e il Cobalto 60… scarichi dovuti all’esercizio dell’impianto nucleare… Nell’ambiente marino considerato la radioattività ambientale artificiale direttamente correlabile all’esercizio dell’impianto elettronucleare è distribuita su un’area marina di almeno 1.700 chilometri quadrati…».

Vale a dire, se la geografia non è una mera opinione, dal promontorio del Circeo all’Isola di Ischia.

Mezzo secolo di inquinamento ancora in atto che danni ha provocato all’ecosistema marino, al territorio, alla numerosa popolazione locale, e a chi ha soggiornato in loco ignaro dei pericoli? Dunque crimini forse ben peggiori – se così si può dire – di quelli commessi dalla camorra in affari con apparati segreti dello Stato.

In una ricerca effettuata per la Cee di Delfanti e  Papucci (“Il comportamento dei transuranici nell’ambiente marino costiero”) viene tracciata una mappa della contaminazione da plutonio nel golfo di Gaeta da 2 a 4 volte la deposizione da fall-out.  Il plutonio non esiste in natura: è una sostanza altamente tossica dal punto di vista chimico, è pericolosamente radiotossica e di elevata rilevanza strategico-militare. La radioattività del plutonio si dimezza dopo 24 mila anni ed esso rimane pericoloso per oltre 400 mila anni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità. “0,25 milionesimi di grammo sono il massimo carico ammissibile di plutonio in tutta la vita per un lavoratore professionalmente esposto”. Bastano infatti pochi microgrammi di plutonio immersi nel condizionamento di un grattacielo per condannare alla morte rapida tutti coloro che si trovano al suo interno».

mappa tratta da: R. Delfanti, C. Papucci, Distribuzione di 239pu, 240pu e 137cs nei sedimenti del golfo di Gaeta:
Osservazioni sui meccanismi di accumulo e sulle velocità di Sedimentazione

Quale limite se non di natura biologica? Gianni Mattioli, docente di Fisica alla Sapienza non ha dubbi:

«Il danno sanitario da radiazioni è un danno senza soglia. Dosi anche infinitesimali di radioattività innescano processi di mutagenesi e patologie tumorali tant’è che la definizione di dose massima ammissibile fornita dalla Commissione internazionale per la radioprotezione, invece di essere “quella particolare dose al di sotto della quale non esiste rischio”, è invece quella dose cui sono associati effetti somatici, tumori e leucemie, che si considerano accettabili a fronte dei benefici economici associati a tali attività o radiazioni». 
La biologa marina Rachel Carson ha così argomentato nel saggio IL MARE INTORNO A NOI:
«La concentrazione e la distribuzione di radioisotopi ad opera degli organismi marini può forse avere un’importanza ancora maggiore dal punto di vista del rischio umano (…) gli elementi radioattivi depositati nel mare non sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti ora sono compiuti per sempre».
Riferimenti:
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 Shigeo Ohki, Takaki, Naoyuki, Transmutation of Cesium-135 With Fast Reactors in Proc. of The Seventh Information Exchange Meeting on Actinide and Fission Product Partitioning & Transmutation, Cheju, Korea, 2002.
Dennis Normile, “Cooling a Hot Zone,” Science, 339 (1 March 2013) pp. 1028-1029.
 G. Audi, A. H. Wapstra, C. Thibault, J. Blachot and O. Bersillon, The NUBASE evaluation of nuclear and decay properties in Nuclear Physics A, vol. 729, 2003, pp. 3–128. Bibcode:2003NuPhA.729….3A, DOI:10.1016/j.nuclphysa.2003.11.001.
J. R. de Laeter, J. K. Böhlke, P. De Bièvre, H. Hidaka, H. S. Peiser, K. J. R. Rosman and P. D. P. Taylor, Atomic weights of the elements. Review 2000 (IUPAC Technical Report) in Pure and Applied Chemistry, vol. 75, n. 6, 2003, pp. 683–800. DOI:10.1351/pac20037506068.
M. E. Wieser, Atomic weights of the elements 2005 (IUPAC Technical Report) in Pure and Applied Chemistry, vol. 78, n. 11, 2006, pp. 2051–2066. DOI:10.1351/pac200678112051.
G. Audi, A. H. Wapstra, C. Thibault, J. Blachot and O. Bersillon, The NUBASE evaluation of nuclear and decay properties in Nuclear Physics A, vol. 729, 2003, pp. 3–128. Bibcode:2003NuPhA.729….3A, DOI:10.1016/j.nuclphysa.2003.11.001.
 N. E. Holden, Table of the Isotopes in D. R. Lide (a cura di), CRC Handbook of Chemistry and Physics, 85th, CRC Press, 2004, Section 11. ISBN 978-0-8493-0485-9.
A. Brondi, O. Ferretti, C. Papucci:“Influenza dei fattori geomorfologici sulla distribuzione dei
radionuclidi. Un esempio: Dal M. Circeo al Volturno”. Atti convegno italo-francese. Firenze 30 Maggio-1
Giugno 1983.
Dipartimento di Epidemiologia del SSR del Lazio, ARPA Lazio et altri: “Valutazione Epidemiologica
dello Stato di Salute della Popolazione Residente nelle Vicinanze delle Centrali Nucleari di Borgo Sabotino
e Garigliano” (Febbraio 2011).
S. Buso, F. Panozzo, I. Sperduti, P. Giorgi Rossi, P. Pezzotti, L. Buzzoni, L. Macci, C. Curatella, E.
Bernazza: “Valutazione delle Dimensioni e delle Prestazionidi Diagnostica Ambulatoriale nelle Neoplasie
della Tiroide in Provincia di Latina”. Sabaudia LT – 21-23 Aprile 2010 XV riunione ARTIUM.
Alfredo Petteruti: “La Mostruosità Nucleare. Indagine sulla Centrale del Garigliano”. La Poligrafica –
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Centro Studi – Il Golfo. 1985.
Rudi H. Nussbaum: “La Childhood Leukemia and Cancers Near German Nuclear Reactors, KiKK”.
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Environment: “Committee on Medical Aspects of Radiation in the Environment (COMARE)”
FOURTEENTH REPORT. 2011.
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Garigliano”. Settembre – Ottobre 1980.
A. Petraglia, C. Sabbarese, F. Terrasi, L. Visciano: “L’Indagine Ambientale Straordinaria del 2002”
Prima Campagna straordinaria 2002, Convenzione DSA-SUN e SOGIN.
F. Terrasi, C. Sabbarese, A. D’Onofrio, A. Petraglia, M. De Cesare, F. Quinto: “Seconda Campagna
straordinaria “Misure di radioattività ambientale nei dintorni della centrale nucleare del Garigliano”.
Campagna straordinaria 2008 – 2009 Convenzione DSA-SUN e SOGIN.
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22° Congresso Nazionale AIRP. Brescia 22-26-Giugno 1981.
C. Papucci, O. Lavarello: “Un esempio di analisi ecologica del sistema marino-costiero da Capo Circeo
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B. Anselmi, O. Ferretti, C. Papucci: “Studio preliminare dei sedimenti della piattaforma costiera nella
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R. Delfanti, C. Papucci: “Distribuzione di 239Pu, 240Pu e 137Cs nei sedimenti del Golfo di Gaeta:
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 C. Sabbarese, A.M. Esposito, L. Visciano, A. d’Onofrio C. Lubritto, F. Terrasi, V. Roca, S. Alfieri and
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WHO Library Cataloguing-in-Publication Data: “Guidelines for Drinking-water Quality” World Health
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Boulyga SF, Heumann KG:”Determination of extremely low 236U/238U isotope ratios in
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sample introduction.” J. Env. Rad. 88 (2006). -Abstract.
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Roberta Delfanti and Carlo Papucci.: “Mediterranean Sea”. ENEA-Marine Environment Research
Centre, La Spezia, Italy.
C. D. Jennings, R. Delfanti and C. Papucci.: “The Distribution and Inventory of Fallout Plutonium in
Sediments of the Ligurian Sea near
Fonte: Su La Testa
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Centrale di Trino e stoccaggio rifiuti radioattivi

Ho voluto riportare tre punti di vista in merito alla situazione della dismessa centrale nucleare di Trino Vercellese e,ancora più importante,le soluzioni per lo stoccaggio e la scelta dei siti.Con il comunicato della Sogin,rassicurante e professionalmente didascalico, ci sono i due articoli,l’uno di Cronacalive e l’altro de Linkiesta,decisamente più allarmanti e non animati da spirito aziendalista.Come si legge nel comunicato ISPRA a piè di pagina,nel settembre 2013 ancora si cerca “un confronto tecnico con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi che hanno già realizzato o stanno esercendo strutture analoghe“.Chi ne avesse voglia,può leggere i risultati della commissione di inchiesta parlamentare riguardanti i depositi nazionali, anch’essi a fine pagina.

trino

SOGIN:Centrale di Trino Vercelli.Bonifica ambientale della centrale
Nel 1999 sono stati smantellati i trasformatori che collegavano la centrale alla rete elettrica.
Nel 2002 sono state demolite le torri di raffreddamento ausiliarie.
Nel 2003 è stata effettuata la decontaminazione dei generatori di vapore.
Nel corso degli anni 2003 e 2004 sono stati demoliti gli edifici che ospitavano i generatori diesel d’emergenza e gli spogliatoi del personale.
Nel 2006 è terminata la rimozione della traversa sul Po, necessaria a garantire l’approvvigionamento idrico durante l’esercizio dell’impianto
Nel 2007 è stato completato lo smontaggio dei componenti dell’edificio turbina.
Nel gennaio 2009 è stato pubblicato il decreto di compatibilità ambientale (VIA) per “l’attività di decommissioning
– disattivazione accelerata per il rilascio incondizionato del sito”.
Nel 2009 si sono concluse le attività di adeguamento del sistema di ventilazione dell’edificio reattore e dell’impianto elettrico dell’edificio turbina e le opere di realizzazione della stazione rilascio materiali.
Sono terminati i lavori di rimozione dei componenti e dei sistemi ausiliari non contaminati della zona controllata.
Il 2 agosto 2012 è stato ottenuto il decreto di disattivazione per la centrale, che consente di avviare le attività per la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell’isola nucleare.
Sogin ha emesso il bando di gara per la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di smantellamento del circuito primario e dei sistemi ausiliari dell’edificio reattore, escluso vessel e internals, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 4 agosto 2012.
Sono in corso le operazioni di rimozione dei componenti contaminati all’interno dei locali del Radiaste. E’ stato ottenuto il nulla osta all’esercizio della ventilazione.
Il sito, libero da vincoli radiologici, sarà restituito al territorio per il suo riutilizzo nel 2024.
Gestione e messa in sicurezza dei rifiutiE’ stata completata la progettazione dell’impianto per il trattamento delle resine della centrale, sviluppato con una tecnologia innovativa, che applica il processo di ossidazione a umido (Wet Oxidation) al trattamento dei
rifiuti organici radioattivi prodotti da centrali e impianti nucleari, al fine di ridurne il volume e garantirne la sicurezza nel lungo termine.
La centrale è dotata di depositi per i residui prodotti dall’esercizio dell’impianto e per quelli derivanti dalle operazioni di bonifica ambientale.
Sono terminate, con un anticipo di tre anni, le attività di supercompattazione di oltre 1000 fusti radioattivi, riducendo il loro numero di circa di 5 volte, che consentono di non dover costruire nuovi depositi temporanei sul sito.
Gestione del combustibile
Nella centrale sono stoccate circa 15 tonnellate di combustibile irraggiato.
Ambiente
A garanzia della sostenibilità ambientale, tutti gli interventi sono progettati, realizzati e monitorati in modo da
non produrre alcun impatto, sia radiologico sia convenzionale, sull’ambiente.
Sogin gestisce un’articolata rete di sorveglianza ambientale e monitora, con controlli continui e programmati, la qualità dell’aria, del terreno (risaie e sedimenti fluviali), delle acque di falda e del Po, nonché del pesce di fiume e dei principali prodotti agro-alimentari del territorio: riso, mais, insalata, spinaci, cavoli e foraggio. Tutte le reti di sorveglianza ambientale sono state istituite al momento della costruzione degli impianti nucleari.
Ogni anno, Sogin effettua sistematicamente centinaia di misure sulle matrici alimentari e ambientali che compongono la rete in collaborazione con l’ARPA Piemonte. Da sempre, i risultati delle analisi e i valori delle formule di scarico confermano impatti ambientali radiologicamente irrilevanti. I risultati dei monitoraggi sono inviati all’Ispra, l’Autorità di sicurezza nazionale sul nucleare, e resi pubblici, anche attraverso il nostro bilancio
di sostenibilità.
Storia della centrale
La centrale nucleare “Enrico Fermi” di Trino è stata costruita da un consorzio di imprese guidate da Edison e ha rappresentato la prima iniziativa industriale italiana nel settore nucleare. La sua costruzione è iniziata nel 1961.
Dopo appena tre anni, nell’ottobre 1964, la centrale ha cominciato la produzione di energia elettrica.
L’impianto, di tipo PWR, Pressurized Water Reactor, aveva una potenza di produzione elettrica di 270 MWe.
Nel 1966 la proprietà della centrale è passata a Enel e nel 1987, all’indomani del referendum sul nucleare, la centrale è stata fermata.
Nel 1990 l’impianto è stato definitivamente disattivato. Da allora, è stato garantito il mantenimento in sicurezza delle strutture e degli impianti a tutela della popolazione e dell’ambiente.
La centrale, con il migliore standard di rendimento fra quelle italiane, ha complessivamente prodotto 26 miliardi di kWh di energia elettrica.
Nel 1999 Sogin è divenuta proprietà della centrale con l’obiettivo di realizzare la bonifica ambientale del sito.
La centrale di Trino è stata la prima delle quattro centrali nucleari italiane ad ottenere nel 2012 il decreto di disattivazione, approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Ispra) e delle altre Istituzioni competenti.

http://www.sogin.it/it/chi-siamo/bonifica-ambientale-degli-impianti-nucleari/dove-siamo/centrale-di-trino-vercelli.html

IM2

Il nucleare in Italia: la centrale di Trino Vercellese e gli incidenti.
09/06/2011
TRINO / La storia del nucleare in Italia è strettamente legata a quella di Trino. E’ qui che fu costruita a inizio anni ’60 quella che per 2 anni fu la centrale per energia atomica più potente al mondo
In quest’angolo di pianura padana, tra distese d’un verde verdissimo, campi coltivati, vigneti e risaie, si scorgono in lontananza le sagome degli impianti che ospitarono i reattori nucleari.
La storica centrale Enrico Fermi, si trova sulle sponde del Po. I lavori per costruirla iniziarono nel 1961. Durarono solo 3 anni. Poi dopo il referendum dell’87, anche questo impianto venne fermato. Da allora è in corso il cosiddetto decomissioning, il complesso e costosissimo smantellamento della centrale, che si protrarrà almeno per altri 40-50 anni.
Nel 1967 il primo incidente. Si fessurò una guaina d’acciaio di una barra di combustibile. Un incidente non di particolare gravità ma che provocò il blocco dell’impianto per 3 anni. La centrale scaricò trizio radioattivo nelle acque del Po. E non fu l’unica volta. Anche nel 79, l’impianto venne fermato per introdurre una serie di modifiche dopo l’incidente alla centrale nucleare americana di Three Miles Island.
Oggi la centrale nucleare rimane lì in un’area di fatto contaminata, inaccessibile se non dopo numerosi controlli e solo ai lavoratori che partecipano alle operazioni di smantellamento. A poca distanza ci sono alcune abitazioni.
Da tempo ferve un dibattito sull’inquinamento della falda acquifera. Sorprende vedere a poca distanza, solo al di là della strada, campi coltivati.
Ma il nucleare negli anni 70 e inizio 80 andava a gonfie vele. E nel giro di poco arrivò la decisione di costruire una seconda centrale.
Il comune con una giunta di sinistra l’approvò. Ci furono scontri violenti e proteste che non bastarono a fermare
i lavori. Fu scelta una zona più sicura, lontana dal fiume Po. Lo stop e la riconversione dell’impianto a lavori di
fatto già iniziati, costarono almeno 2.000 miliardi delle vecchie lire per i contratti non rispettati. Sarebbe stata la centrale più potente di tutte, anche rispetto a quella di Caorso. Erano previsti 2 reattori.
In questo caso, oggi non c’è il problema delle scorie, che invece continua ad esserci per l’impianto numero 1 di Trino. Gli scarti estremamente radioattivi sono stati portati a Saluggia, ad una trentina di km di distanza. E da qui verranno portati in Francia. 8 viaggi speciali a bordo di treni super scortati sono previsti entro il 2012. Ma le
polemiche si infiammano sia sulla totale mancanza di comunicazione di quando siano effettuati i trasferimenti – la popolazione non viene avvisata – sia sulla pericolosità del sito dove sono stoccate.
La zona è ultrapresidiata. E’ pressoché impossibile avvicinarsi.
Precauzioni efficaci per l’uomo ma non contro il nemico alluvione. Nel 94 e poi nel 2000, i depositi furono in grande parte sommersi. Per un soffio si evitò una catastrofe.
Lasciti a dir poco problematici del nucleare, con le cui insidie qui bisogna ancora oggi fare i conti tutti i giorni. E i cartelli non poi così veritieri comune denuclearizzato sono un lascito che diventa monito per il futuro.
Trino Vercellese sarebbe proprio uno dei primi siti a riaprire in caso di riattivazione delle centrali in Italia.

http://www.cronacalive.it/il-nucleare-in-italia-la-centrale-di-trino-vercellese-e-gli-incidenti/

Nucleare, grandi annunci ma la bonifica è “all’italiana” 17/08/2012

Trino Vercellese è una zattera galleggiante immersa nella pianura padana, appoggiata al Po e al Monferrato. Da oltre mezzo secolo, la sua storia è legata al nucleare, nonostante in 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Enrico Fermi abbia prodotto 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia, pari a circa 26 giorni di fabbisogno.
L’impianto compare all’orizzonte percorrendo, in direzione Casale Monferrato, l’ex 31 bis o il ponte sul grande fiume verso la collina: ha una base tozza, una torre affilata e un aspetto ormai antico. Poco più in là, a Leri Cavour, si ergono altre torri, con forme più “americane”, sono quelle della Galileo Ferraris, che doveva essere atomica ma con il referendum del 1987 la sua destinazione fu convertita a gas. A venti chilometri di distanza, troviamo Saluggia, capitale delle scorie (oltre l’80% dei rifiuti radioattivi italiani giacciono a due passi dalla golena della Dora Baltea). Un triangolo che non ha pari nel resto del Paese.
Torniamo alla Fermi. È qui che, in questi giorni, i riflettori sono puntati. Costruita in soli tre anni da un consorzio di imprese guidate da Edison, nell’ottobre del 1964 la centrale incominciò la produzione di energia elettrica.
Passata in mano a Enel nel 1966, la sua attività è stata fermata ventuno anni dopo.
Il 6 agosto scorso, la Sogin (società di Stato incaricata del decommissioning) ha comunicato che il ministero dello Sviluppo economico ha approvato, su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Ispra), il decreto di disattivazione per la centrale di Trino – prima a ottenerlo tra i quattro impianti italiani (Garigliano, Caorso e
Latina) – che prevede la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell’isola nucleare. «Raggiungeremo l’obiettivo, previsto nel nostro piano industriale, di terminare la bonifica del sito di Trino nel 2024», ha dichiarato l’amministratore delegato Giuseppe Nucci, che considera lo smantellamento degli
impianti nucleari, «la più grande bonifica ambientale della storia del nostro Paese».
Qualche mese fa, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, era stato più prudente sui 12 anni previsti. «Lo stato di avanzamento del decommissioning – aveva dichiarato nel corso del question time alla Camera – è attualmente valutato dalla Sogin pari al 14% e l’anno 2024 è stimato quale data presumibile di rilascio del sito, senza vincoli
di natura radiologica».
Per la disattivazione dell’impianto vercellese, il piano Sogin prevede 234 milioni di euro e due fasi: la prima, riguarda il completamento delle attività di smantellamento, per il 2019, con il cosiddetto “Brown field” (i rifiuti vengono stoccati in depositi temporanei). Nella seconda fase, per un costo di 52 milioni, le scorie verranno trasferite, cinque anni dopo, al *deposito nazionale. L’area di Trino – dice Sogin – sarà così libera da vincoli radiologici, diventerà “Green field” (prato verde).
Esiste, però, un particolare che mette in dubbio un possibile lieto fine. Manca ancora il deposito nazionale,secondo una legge dello Stato (368/2003) doveva essere costruito entro il *31 dicembre 2008, ma quattro anni dopo non è stato individuato. «Non essendoci il sito nazionale, né i criteri per l’individuazione, la disattivazione completa di Trino, come di altre località, non sarà possibile», dice Gianpiero Godio, di Legambiente Vercelli, già
tecnico Enea. «Così com’è – aggiunge – è solo una finta disattivazione, si tratta di una messa in ordine delle scorie. Il rischio reale è che queste rimangano sul territorio. La strategia di Sogin, a dispetto delle parole, pare quella di trasformare i siti in depositi di se stessi. Si dovrebbe invertire, invece, il percorso: prima il sito, poi la disattivazione. Come associazioni ambientaliste avevamo chiesto la sospensione dell’autorizzazione nel caso in cui fosse emanato il decreto. Ora, presenteremo ricorso al Tar».
Il Piemonte è la regione che sconta maggiormente il peso del nucleare pregresso. Secondo l’ultimo Annuario dei dati ambientali dell’Ispra, il 72% dei rifiuti radioattivi, in termini di attività, presenti in Italia, si trova qui. La percentuale sale al 96% in un virtuale inventario che comprende rifiuti radioattivi, sorgenti dismesse e combustibile irraggiato (in base ai dati del 2010).A Bosco Marengo (provincia di Alessandria), a Saluggia (dove è previsto il contestato mega D2) e a Trino (provincia di Vercelli) sono già stati autorizzati, oppure sono in
avanzato corso di autorizzazione, nuovi depositi nucleari (temporanei).
Finora il problema dell’individuazione del sito italiano è stato rimandato. Secondo una direttiva europea, entro il 2015 i Paesi membri dovranno scegliere i luoghi per i *depositi definitivi. Negli ultimi anni sono spuntate quasi clandestinamente liste e mappe di siti idonei. Si diceva che Emilia-Romagna e Basilicata fossero in pole position.
Recentemente, rispondendo a un’interrogazione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha confermato la presenza di uno studio della Sogin, ma come documento “preliminare” svolto d’ufficio dalla società e non divulgato: «In carenza dei presupposti normativi, non potrà avere certamente seguiti procedimentali», si è trattato solo di «un apprezzabile impegno del soggetto
gestore sulla strada della individuazione non ulteriormente procrastinabile del sito dove realizzare il parco tecnologico (con annesso deposito, ndr)».
Sul tema, l’allora ministro Corrado Passera aveva ipotizzato che «una prima proposta di mappa da Sogin» sarebbe potuta arrivare «entro i primi mesi del 2013» e che «gli investimenti per il parco tecnologico» ammonterebbero «a 2,5 miliardi di euro».
Nella centrale Enrico Fermi – divenuta nel 1999 proprietà della Sogin – negli ultimi 15 anni è stato smantellato il 40% degli impianti. Sono state demolite le torri di raffreddamento, abbattuta la torre meteorologica, decontaminati i generatori di vapore, smantellati gli edifici che ospitavano i generatori diesel d’emergenza, rimossa la traversa sul Po, necessaria a garantire l’approvvigionamento idrico, smontati i componenti dell’edificio
turbina. Il paesaggio in parte è cambiato. E ancora cambierà.
Trino, nonostante le due alluvioni, 1994 e 2000, che l’hanno duramente provata (ridotta la popolazione di quasi mille unità, 7.500 abitanti), è rimasta se stessa: caparbia. Prova a reagire anche se il nucleare da manna (negli anni ’60) è diventata una mannaia. In Comune, dopo la caduta della giunta di centrodestra (sindaco Marco Felisati, eletto nel 2009), siede da qualche mese un commissario, Raffaella Attianese. In questi giorni è in vacanza. È rimasto solo qualche impiegato, che subito si irrigidisce appena si nomina l’argomento atomico.
D’altronde, il tema rimane scottante: il decreto di disattivazione della centrale non è ancora stato pubblicato sull’albo pretorio online. Quello che prevede il “prato verde”, che qualcuno immagina come un pioppeto lungo il fiume.
«Sembra – sottolineano i dirigenti locali del Pd insieme ai parlamentari Luigi Bobba e Roberto Della Seta – di trovarsi davanti a un’operazione volta a risolvere per sempre il problema dell’eredità nucleare per il nostro territorio. Purtroppo così non è. Chiediamo prima il deposito nazionale e poi lo smantellamento. Un processo così delicato non può realizzarsi senza il coinvolgimento e la piena informazione dei cittadini e degli enti locali.
Sogin non pensi di comportarsi come sta facendo a Saluggia, dove costruisce il deposito D2 mai sottoposto a valutazione di impatto ambientale, malgrado sia destinato a ospitare rifiuti radioattivi a elevata intensità».
I tempi del nucleare sono lunghi, lunghissimi. È innegabile, al di là delle posizioni contrapposte, che rimanga un problema annoso. Secolare? Le barre di combustibile irraggiato sono partite da Caorso, Saluggia e Trino in direzione La Hague, Francia, per il riprocessamento, ma torneranno in Italia nel 2025. E faranno, probabilmente,
ancora discutere.
http://www.linkiesta.it/italia-nucleare

*Settembre 2013 Nota informativa ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)sulla predisposizione dei criteri tecnici di localizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi

L’ISPRA ha predisposto una prima bozza del documento sui criteri tecnici di localizzazione del deposito nazionale di rifiuti radioattivi, ritenendo necessario svolgere, prima della loro emanazione ed in linea con le prassi internazionali in campo nucleare, un confronto tecnico con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi che hanno già realizzato o stanno esercendo strutture analoghe, nonché di sottoporre i criteri elaborati ad una revisione internazionale condotta dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

19 dicembre 2012 Camera dei Deputati COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI
…A venticinque anni dal referendum che, nel novembre 1987, ha portato alla chiusura degli impianti nucleari italiani, la situazione generale dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale può dirsi ancora precaria.Il dato di fondo che determina tale precarietà è la perdurante mancanza di un sito nazionale ove i rifiuti possano essere depositati o smaltiti nelle condizioni di sicurezza che gli standard attuali possono garantire. Tale mancanza, infatti, fa sì che, nella stragrande maggioranza dei casi, i rifiuti radioattivi debbano ancora oggi essere conservati presso gli stessi singoli impianti – centrali, installazioni sperimentali, reattori di ricerca – sparsi sul territorio italiano, nei quali sono stati a suo tempo prodotti e nei quali, sia pure in quantità minore, continueranno a essere prodotti sino a quando le operazioni di decommissioning non saranno portate a termine, poiché anche le attività necessarie per il mantenimento in sicurezza degli impianti, ancorché spenti, generano
rifiuti.I rifiuti prodotti nell’impiego di sorgenti radioattive al di fuori degli impianti nucleari, e cioè nelle attività industriali, nella ricerca e, soprattutto, in medicina, sono invece raccolti in alcuni deposti temporanei di dimensioni relativamente ridotte, per poi in genere confluire, come meglio si dirà, in un unico deposito, prossimo a Roma,anch’esso temporaneo, ma che per quei rifiuti surroga, in una indefinita provvisorietà, il deposito nazionale.
Ad aumentare l’attuale stato di precarietà sta il fatto che, spesso, i rifiuti radioattivi si trovano ancora nello stato in cui sono stati prodotti, senza aver subito, cioè, operazioni di trattamento e di condizionamento. Con il condizionamento, in particolare, i rifiuti vengono inglobati – se solidi – o solidificati – se liquidi – in matrici solide inerti, tipicamente cemento, in casi particolari vetro, che costituiscono la prima barriera contro la dispersione della radioattività nell’ambiente. È evidente come il condizionamento, sempre molto importante, sia
fondamentale nel caso dei rifiuti liquidi, in considerazione delle maggiori potenzialità di contaminazione che questi hanno a seguito di accidentali spargimenti.
Nella tabella 2 è presentato l’elenco e la relativa ubicazione degli impianti nucleari e dei depositi temporanei, nonché le quantità di rifiuti radioattivi detenuti, in volume e in attività. Si precisa che nella tabella sono indicate come depositi quelle installazioni dove non vengono prodotti rifiuti, ma che sono destinate a ospitare rifiuti prodotti da altre installazioni e a ciò autorizzate.Come si può constatare, l’esercente del maggior numero di impianti nucleari – e anche dei più rilevanti, a partire dalle quattro centrali elettronucleari realizzate in Italia – è la SOGIN (società gestione impianti nucleari), società per azioni a capitale interamente pubblico, costituita nel 1999 nell’ambito del processo di liberalizzazione del
mercato elettrico, con il compito di gestire il decommissioning delle quattro centrali già dell’ENEL, tutte spente da anni, nonché il combustibile nucleare e i rifiuti radioattivi presenti nelle stesse centrali. Dal 2003 alla Sogin è stata attribuita anche la gestione degli impianti del ciclo del combustibile esistenti in Italia, quasi tutti appartenenti all’ENEA, anch’essi chiusi da anni.

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Complessivamente, negli impianti e nei depositi sopra elencati sono contenuti oltre 28 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ripartiti nelle tre categorie e tra rifiuti condizionati e non condizionati, come mostra la tabella 3. Tenuto conto che i rifiuti di prima categoria non richiedono condizionamento, la frazione dei rifiuti condizionati è come detto ancora piuttosto bassa, intorno al 25 per cento del totale.

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Nella tabella 4 è presentata, invece, la ripartizione dell’intero inventario nazionale tra le diverse regioni che ospitano impianti nucleari o depositi temporanei. In termini di volume il quantitativo maggiore è presente nel Lazio, dove confluisce, nel deposito NUCLECO, la gran parte dei rifiuti radioattivi di origine non nucleare prodotti in Italia. In termini di contenuto di radioattività, la maggiore concentrazione è, invece, in Piemonte, soprattutto per la presenza dell’impianto EUREX, a Saluggia, dove da decenni sono detenuti , ancora allo stato liquido in cui sono stati prodotti, rifiuti radioattivi che, da soli, rappresentano oltre i due terzi dell’inventario nazionale…

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http://leg16.camera.it/544?stenog=/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/015&pagina=d020#04

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L’ex ministro Mattioli "Io,filo-atomo pentito"


” Non mi rimangio l’entusiasmo di scoprire che da un pugno metallo luccicante si sprigiona tanta energia quanta da due milioni e mezzo di chili di carbone”Così parla Gianni Mattioli, ex parlamentare dei verdi,ex ministro e ,per oltre 35 anni,docente di fisica.Oggi si autoproclama nuclearista pentito,notando che esistono gli stessi problemi ,riguardo all’energia nucleare,che ha studiato all’università.Il primo,dice Mattioli nell’intervista alla “Stampa”,è che l’uranio non c’è:il 235,utile per le centrali è lo 0,7 % della composizione degli isotopi di uranio.Al modestissimo ritmo attuale di utilizzo ne avremmo ancora per 50 anni…

 

Il secondo scoglio è relativo all’impatto sanitario in condizioni di routine.Considerate che, il termine”dose massima ammissibile di rotazione”, non è quella sotto la quale non si corre alcun rischio,ma quella a cui sono associati effetti somatici e genetici considerati accettabili a fronte dei benefici dell’attività nucleare,quindi si corrono rischi per la salute anche in condizioni normali,cosicchè trovo indecente cha Veronesi o altri dicano “Ma quali rischi?”.

 

Ci sono poi altri problemi:per la sicurezza ci vuole un vero salto di qualità di fisica del reattore e, per quello che riguarda le scorie nucleari,non siamo stati capaci di trovare finora,in nessun paese del mondo,un metodo per sistemare i rifiuti.E infine,qualsiasi ciclo del combustibile nucleare è intrinsecamente proliferante:se ne può tirare fuori una bomba.


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Ci risiamo! Ma niente paura.

mercoledì, 2 dicembre, 2009

PAURA PER UN INCIDENTE NUCLEARE IN FRANCIA

E’ successo alla centrale nucleare di Cruas in Ardeche, Francia meridionale.

 

Centrale nucleare


 Uno dei quattro reattori è stato bloccato per un guasto del circuito di raffreddamento.Il circuito, che usufruisce dell’acqua del fiume per il raffreddamento, si è intasato a causa dei numerosi detriti che vi sono contenuti.Per qualche ora il sistema è rimasto bloccato.I livelli di gravità degli incidenti nelle centrali nucleari sono sette e, a detta degli esperti, quello di ieri è stato un incidente di livello due nella scala internazionale.L’ASN (Autorità per la Sicurezza Nazionale)ha diramato un comunicato nel quale dichiara che non si sono verificati pericoli per l’ambiente.Sul posto ancora gli ispettori per  i controlli e le verifiche di rito, come sempre nei casi di emergenza

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Rifiuti nucleari:nessuno sa dove nasconderli

Traffico di rifiuti nucleari dalla Francia verso la Siberia.

Secondo il giornalista Laure Noualhat, questo è stato possibile solamente grazie ad un “errore giudiziale”: perché l’uranio impoverito, l’uranio ed il plutonio ricaricato non erano considerati come rifiuti atomici, ma piuttosto come “materiale radioattivo.” Di conseguenza, gli scarti instradati ufficialmente via mare verso la Russia non erano ufficialmente finalizzati al trattamento come rifiuti atomici perché ciò sarebbe stato severamente vietato dalle normative in materia.Il ministro francese dell’ambiente, Chantal Jouanno, ha avviato un’inchiesta su questo affare. Ha dichiarato martedì 13 ottobre su Francia-Info che l’industria nucleare francese dovrebbe essere totalmente trasparente.” Un gruppo di manifestati aderenti a “Sortir du nucléaire” ha accusato il ministro Jouanno di aver tentato di guadagnare tempo prima di aprire un’inchiesta. Questo gruppo ha chiesto che i rifiuti atomici siano riportati in Francia.
La Francia, come la Germania, non ha trovato ancora un luogo permanente per collocare i suoi rifiuti nucleari. Le autorità francesi incaricate del nucleare hanno intenzione di collocare i rifiuti nucleari prodotti negli ultimi tre decenni e quelli che produrranno
in avvenire, vicino a Bure, all’est della Francia, in una fossa a 500 metri, 1640 piedi, di profondità.
Source: spreadthetruth.fr

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Una valigia di rifiuti nucleari

Qualche IMBECILLE ha pontificato (senza avere nessuna conoscenza in merito) che i rifiuti di una centrale atomica stanno in una valigia e “basta”<vetrificarli,immergerli nel cemento e seppellirli in una profonda caverna>…sic!.

Un palazzo di sessanta piani di paure atomiche (Flavia Amabile)

La mappa dei 53 mila metri cubi di scorie nucleari custoditi in Italia.
ROMA – Le centrali nucleari sono chiuse dal 1987, eppure in Italia ci sono: 53 mila metri cubi di rifiuti nucleari, quanto un palazzo di sessanta piani. La verità è che più che chiuse le centrali sono in stato di «custodia protetta passiva», dunque continuano a produrre ogni anno una certa quantità di rifiuti radioattivi. A questi vanno aggiunti altri 2mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di origine medica e sanitaria, o creati durante le attività di ricerca o simili, e poi rottami metallici, vecchi quadranti luminescenti, parafulmini.
Cerchiamo di capire dove sono. Il rapporto di Legambiente risale al 1999 ma è ancora valido. Il primo nome citato è il Centro Enea di Rotondella, conosciuto anche come «Trisaia», in provincia di Matera dove a quasi trent’anni dall’avvio del programma, si trovano ancora 2,3 metri cubi di rifiuti liquidi mai solidificati nonostante le ripetute richieste degli organi competenti. I rifiuti, oltretutto, sono contenuti in strutture metalliche di acciaio e carbonio che ormai non sono più in grado di garantire la tenuta. Il centro di Trisaia ospita anche 64 elementi di combustibile irraggiato, attualmente sospesi in una piscina di stoccaggio, circa 3 metri cubi di prodotto fissile e fertile (uranio e torio), 14 container di rifiuti biomedicali; dagli anni Sessanta è la sede dell’unico cimitero di rifiuti nucleari esistente in Italia, quattro fosse in cui sono stati accumulati rifiuti solidi radioattivi ad alta attività (pari a circa 100 curie) contenenti cobalto 60, Cesio ed altri radionuclidi. I rifiuti sono stati cementificati e le fosse ricoperte con uno strato di bitume.
Durante l’attività le centrali nucleari hanno prodotto 1916 tonnellate di combustibile esausto, 328 delle quali sono ancora stoccate in Italia presso gli impianti di Caorso e Trino e la vasca del reattore di ricerca Avogadro a Saluggia. Quello di Saluggia è un deposito particolarmente a rischio, si trova sulle sponde della Dora Baltea, a due chilometri dalla confluenza con il Po, sopra le più importanti falde acquifere del Piemonte: nessuno può immaginare che cosa può accadere in caso di alluvione. Ci sono poi la centrale del Garigliano in provincia di Caserta dove è in funzione un impianto per il recupero e la solidificazione di liquidi e fanghi prodotti in passato e stoccati, e quello di Casaccia nel Lazio dove opera un impianto per l’estrazione di particelle alfa dei rifiuti del plutonio in modo da diminuirne la radioattività. Coperte da segreto militare sono tutte le informazioni sulla centrale nucleare della base di Pisa, ma è presumibile che rifiuti siano conservati anche lì.
Ai depositi delle centrali vanno aggiunti i depositi pubblici e privati delle scorie create dagli ospedali, non sempre del tutto in linea con le norme di sicurezza stabilite dalla legge. Secondo i dati raccolti dal Servizio di prevenzione sanitaria della Regione Lombardia, ad esempio, in un solo anno (tra il giugno 1997 e il giugno 1998) le aziende sanitarie lombarde hanno rilevato più di 100 carichi di rottami metallici radiocontaminati, quasi tutti in provincia di Brescia, evidentemente sfuggiti ai controlli doganali. Nel 55% dei casi l’oggetto radioattivo era costituito da materiale metallico radiocontaminato, nel 17% dei casi da vere sorgenti radioattive e nel 18% dei casi da quadranti di strumenti. In alcune sporadiche occasioni sono stati ritrovati parafulmini radioattivi e rilevatori di fumo. E poi vanno contati resine, fanghi, rifiuti attivi secchi, rifiuti solidi o liquidi in attesa di trattamento.
C’è poi un ulteriore quantità di materiale radioattivo su cui si hanno poche informazioni, quello proveniente dai traffici illeciti. Il rapporto di Legambiente ricorda che nel periodo 1996-1998, in particolare, risultavano entrati 2 milioni e 260mila tonnellate di rottami ferrosi attraverso i valichi ferroviari di Gorizia e Villa Opicina e quello stradale di Valico Sant’Andrea, lungo la frontiera orientale italiana: oltre 15mila tonnellate sono risultate radioattive e rispedite oltre confine.

La Stampa del 24/11/2003

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La nave con rifiuti radioattivi affondata a Cetrano

Alla luce della notizia riportata oggi dai giornali e dalle televisioni relativa alla fondatezza, con immagini e prove documentali,delle informazioni dei pentiti sull’affondamento di numerose navi cariche di rifiuti altamente pericolosi,si rafforza il mio rifiuto alla costruzione di centrali nucleari in Italia.Se verrà confermata la presenza di bidoni contenenti scorie radiottive sulle carrette del mare fatte inabissare con cariche esplosive dalle mafie vi lascio immaginare la gestione futura di tutti i rifiuti nucleari a chi finirà in mano.E provate a chiedervi se camorra e mafia sono favorevoli o contrarie al ritorno al nucleare.
Comunque attenderemo gli sviluppi futuri,restiamo svegli,e cerchiamo di mobilitarci.Se c’è una cosa che ci riguarda direttamente… è questa!

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Follia nucleare

Atto Senato n. 1195-B

Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia

G/1195-B/4/10

BUBBICO, ARMATO, FIORONI, GARRAFFAGRANAIOLA, PAOLO ROSSI, SANGALLI, SBARBATITOMASELLI

Il Senato,

premesso che,

l’articolo 25 del provvedimento in esame contiene un’ampia delega al Governo volta a reintrodurre il nucleare in Italia;

nell’elencazione dei princìpi e dei criteri direttivi con cui la delega deve essere esercitata, si prevede che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita siano considerate tutte attività di preminente interesse statale e, come tali, soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

inoltre, si prevede che i produttori di energia elettrica nucleare dovranno provvedere alla costituzione per il decommissioning che dovrebbe essere finalizzato a finanziare lo smantellamento degli impianti nucleari, il trattamento e lo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi;

considerato che,

la materia della produzione, del trasporto e della distribuzione nazionale dell’energia rientra tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione;

l’attuazione della delega implicherà la «chiamata in sussidiarietà» di parte delle funzioni amministrative concernenti il settore energetico, con l’attribuzione di rilevanti responsabilità ad organi statali e quindi con la parallela disciplina legislativa da parte dello Stato di settori che di norma dovrebbero essere di competenza regionale ai sensi del succitato terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione;

la Corte Costituzionale, con sentenza n. 383/2005, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni riguardanti il decreto legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica, ha stabilito una serie di principi tra i quali quello che riconosce che «( … ) il riordino dell’intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice, ma anche la nuova disciplina dei numerosi settori contermini di esclusiva competenza statale, appare caratterizzato, sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali, in quanto evidentemente ritenuti gli unici a cui naturalmente non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale.»;

il presupposto per rendere costituzionalmente ammissibile l’esercizio di questo meccanismo, che oggettivamente incide in modo significativo sull’ambito dei poteri regionali, è «la previsione di un’intesa in senso forte con le Regioni nel cui territorio l’opera dovrà essere realizzata»; infatti, la Corte afferma che «la predisposizione di un programma di grandi infrastrutture per le finalità indicate dalla disposizione impugnata implica necessariamente una forte compressione delle competenze regionali non soltanto nel settore energetico ma anche nella materia del governo del territorio, di talché, ( … ), è condizione imprescindibile per la legittimità costituzionale dell’attrazione in sussidiarietà a livello statale di tale funzione amministrativa, la previsione di un’intesa in senso forte con le Regioni nel cui territorio l’opera dovrà essere realizzata. (…). Ciò tanto più in riferimento ad una legislazione come quella oggetto del presente scrutinio, che spesso si riferisce alla dimensione «nazionale» (unilateralmente definita) di fenomeni od attrezzature, da cui sembra che spesso si vogliano escludere le Regioni, malgrado l’esplicito riferimento alla stessa dimensione «nazionale» che è contenuto nella denominazione della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Dovendosi quindi individuare un organo adeguatamente rappresentativo delle Regioni, ma anche degli enti locali, a loro volta titolari di molteplici funzioni amministrative senza dubbio condizionate od incise dalle diverse politiche del settore energetico, emerge come naturale organo di riferimento la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (…);

la procedura di adozione dei decreti legislativi attuativi di cui all’articolo 25, comma 1, del disegno di legge in esame prevede l’adozione di un semplice parere, in luogo dell’intesa, da parte della Conferenza Unificata e prevede al successivo comma 2, lettera f), l’esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con gli enti locali coinvolti, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione;

a tal proposito, la Corte Costituzionale, sempre con la sentenza n. 383/2005 ha stabilito che: «tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la «chiamata in sussidiarietà» di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese «in senso forte», ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell’intesa, la volontà della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l’unico attore di una fattispecie che, viceversa, non può strutturalmente ridursi all’esercizio di un potere unilaterale. L’esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente ispirare l’opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell’intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni.»;

impegna il Governo:

a coinvolgere pienamente le Regioni e gli enti locali interessati, in primo luogo nella fase di adozione dei decreti legislativi e, successivamente, ad esperire ogni tentativo per raggiungere le necessari intese, così come stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 383/2005.

Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno.(e soprattutto di che cosa stanno parlando).

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Vorrei che il governo facesse due conti invece comprare centrali dai francesi.  

       COSTI ENERGIA NUCLEARE

Il costo variabile del nucleare appare a prima vista tra i più bassi (es. in Francia 0,015 € per chilowattora). Riprendendiamo una tabella comparativa del 2003 per rendere meglio l’idea:

  • 0,02 € centrali idroelettriche esistenti
  • 0,02 € carbone
  • 0,03 € nucleare
  • 0,04 € gas
  • 0,05 € biogas
  • 0,07 € geotermico
  • 0,07 € eolico
  • 0,07 € nuove centrali idroelettriche
  • 0,12 € celle a combustibile
  • 0,57 € fotovoltaico
    (dati costo medio KWora in euro)

Il costo variabile dell’energia nucleare può trarre in inganno poiché non include l’intera spesa che il pubblico deve sostenere per realizzare, gestire e infine smantellare una centrale nucleare. Analizzando complessivamente il sistema energetico, ovvero partendo dalla costruzione delle centrali sino anche alla complessa gestione dei rifiuti, si riscontra un notevole incremento nei costi sociali e una scarsa convenienza economica sociale. Questi i principali handicap:

  • Una centrale nucleare necessita un lungo periodo di tempo per essere costruita (in media 10 anni). In questo lungo periodo di tempo vanno poi aggiunti i costi oppurtunità, ossia le perdite “potenziali” pari al tasso di interesse perso se i fondi fossero stati depositati in banca o occupati in altre attività economiche.
  • Le centrali nucleari producono rifiuti radioattivi (scorie) la cui gestione è ancora un capitolo aperto per l’intero occidente. Soltanto gli Usa, dopo oltre 25 anni di studi, hanno realizzato una soluzione definitiva realizzando un deposito in profondità (geologico) in cui stoccare le scorie radioattive. Il deposito negli Usa sarà dedicato solo alle scorie di II grado mentre resta ancora incerto il destino delle scorie di III grado (ad alta radioattività) stoccate temporaneamente all’interno delle centrali nucleari.
  • Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare va considerato anche il costo del suo smantellamento, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive.Esempio. per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni ’60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Recentemente questa centrale ha terminato il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati allocati 635 milioni di dollari correnti.

    Soltanto per smantellare le quattro centrali nucleari italiane l’International Energy Agency ha stimato un costo pari a 2 miliardi di dollari.

In conclusione
Il nucleare è stato presentato come una fonte indispensabile per generare energia elettrica a basso costo. In realtà i suoi costi “nascosti” (sostenuti dallo Stato tramite tasse e imposte) sono ancora troppo alti se paragonati alle normali centrali termoelettriche (gas o carbone). Per individuare un quadro completo dei costi è necessario allargare la visione all’intero ciclo di produzione e non soffermarsi sui singoli aspetti. Solo in questo modo si riesce a comprendere il reale costo sociale che la società dovrà pagare per avere l’energia nucleare.

Va comunque considerato che l’antieconomicità del nucleare è soltanto un aspetto dell’analisi politica. Il ritorno al nucleare può essere giustificabile per ridurre la dipendenza delle economie occidentali dall’import di petrolio, gas e carbone. La capacità di una nazione di far fronte al proprio fabbisogno energetico interno rappresenta un obiettivo politico e strategico per difendere la propria economia nazionale dagli shock esterni. Soltanto in questi casi, e in questi termini, il ritorno al nucleare può essere considerato come una scelta razionale da intraprendere

Tratto da Ecoage.com

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Le centrali nucleari non emettono CO2". Vero. Ma falso.

Le centrali nucleari non emettono CO2". Vero. Ma falso.  
  In effetti nell’area delle centrali nucleari non si hanno gravi immissioni di CO2 in atmosfera. Ma cosa succede, prima? E cosa succede, dopo?
Il fatto è che tutt’intorno, dalla prima fase all’ultima, l’energia nucleare ha costi ambientali esorbitanti, naturalmente traducibili in termini di CO2. Questi sono i fattori.
– Le prospezioni geologiche.
– L’estrazione dell’uranio.
– Il processamento dell’uranio come combustibile.
– Il costo dello smaltimento delle scorie – problema terribile e irrisolvibile: in America milioni di tonnellate di scorie che rimarranno pericolose per 10.000 anni sono stipate nella Yucca Mountain, ma la questione ha causato gravi problemi sia amministrativi, che politici, che strutturali (l’amministrazione Bush nel 2004 ha surretiziamente modificato i già blandi limiti di sicurezza, avevamo seguito la questione).
– L’uranio non è inesauribile (ce n’è per 40 anni, solo con le attuali centrali).
– La valutazione dei costi dei possibili incidenti.
– Sembra impossibile districare i programmi nucleari civili da quelli bellici (caso Iran).
– La forma stessa della produzione energetica non va verso il modello di "rete" diffusa ma tende invece all’accentramento e pare quindi avere una direzione antistorica.

Sarà per questi motivi che nessuna merchant bank sostiene più costruzioni di nuove centrali; che recentemente Deutsche Bank e Unicredit si sono meritoriamente tirate indietro da controversi progetti internazionali; che nessuno Stato occidentale ha più in cantiere una centrale (tranne una in Scandinavia che però è in forse) e la Germania ha già varato un piano per chiuderle tutte entro il 2050.

Incidenti nuclari nel mondo negli ultimi anni

Sarà per questi motivi che pochi stati autoritari, che si contano sulle dita d’una mano, stanno mettendo in cantiere centrali nucleari, mentre in USA non se ne costruisce più una e in tutta Europa si punta solo su risparmio energetico e fonti rinnovabili?
Stefano Carnazzi

Effetti collaterali Chernobyl

 

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