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Pitture rupestri del Tassili.Dal gigantesco dio dei marziani ad Antinea.


Nel cuore del Sahara, intorno al massiccio montuoso centrale dell’Hoggar, si elevano grandi altopiani detti “Tassili”, una parola tamascek (la lingua dei Tuareg) che significa “fiumi”. In un passato immemorabile, il Sahara era umido e traversato da numerosi fiumi che scendevano dagli altopiani. Oggi, il viaggiatore che si avventura sui Tassili vede ancora i canyon tracciati dalla forza delle acque, gli antichi letti dei fiumi, può immaginare le cascate che si abbattevano lungo i salti di roccia: ma tutto è ormai silenzioso, asciutto, immobile. L’antica erosione delle acque ha foggiato le rocce tenere degli altopiani, scisti e arenarie, in forme fantastiche: pinnacoli, grotte,  tetti,  cavità, scalinate,  canali, ciclopiche  canne  d’organo  in pietra.  Quando  un acquazzone  si   rovescia sul  Sahara, le acque  tornano a incanalarsi nei vecchi alvei, ruscellano lungo le pareti scolpite dall’erosione, e i Tassili diventano, per breve tempo, un mondo d’acqua in movimento. Il Tassili che prende nome dalla tribù Tuareg degli Adjer si eleva nelle vicinanze dell’oasi di Djanet. È uno degli altopiani più vasti e suggestivi. Nell’ombrosa gola di Tamrit, uno “uadi” (antico alveo di fiume) raccoglie e conserva preziosa acqua piovana nelle sue pozze rocciose, permettendo la sopravvivenza di un gruppo di solenni e verdi cipressi dai tronchi enormi e dai rami contorti, d’età più che millenaria. I cipressi di Tamrit sono ormai soltanto una quindicina. 

  Donne ornate

La vera meraviglia che impreziosisce il Tassili sono gli affreschi preistorici, dipinti tra i diecimila e i quattromila anni fa, raffigurano animali ormai scomparsi nel Sahara, scene di caccia e d’amore, dèi dalla testa d’uccello come quelli egizi, carri come quelli dei romani, persino enigmatiche figure dalle teste tonde simili a caschi spaziali che hanno fatto parlare di Atlantidei ed extraterrestri: la più ampia, suggestiva e misteriosa galleria d’arte a cielo aperto del mondo

Le tensioni etniche che hanno fatto sospendere la Parigi/Dakar  hanno fermato anche  la maggior parte, se non  tutti ,i turisti che viaggiavano verso il magico mondo delle pitture rupestri del Tassili, anche perchè le assicurazioni non sono disposte a coprire questo tipo di mete . Così nel momento in cui il mondo cominciava a svegliarsi rispetto alla magica realtà di questi dipinti, la  politica internazionale ha posto le pitture rupestri preistoriche quasi off-limits. Nonostante tutto ciò, è vero che le pitture rupestri del Tassili possono essere visitate, ma le poche persone che hanno scritto su queste stupende opere preistoriche hanno attinto dal pionieristico lavoro di Henri Lhote(1903-1991) e il suo team.

 Pitture rupestri

Lhote dichiarò che la zona del Tassilli è il più ricco serbatoio di arte preistorica di tutto il mondo. Ha scritto una serie di libri, il più noto dei quali è “La ricerca degli affreschi del Tassili. Le pitture rupestri del Sahara” che è un reconto delle difficoltà incontrate nel tentativo di scoprire e catalogare tutti i disegni e le  pitture rupestri che erano sparse sulle roccie  dei vari angoli del Tassili.
Lhote stesso si è basato sul lavoro del tenente Brenans  dei “meharisti” (truppe cammellate), che è stato uno dei primi ad avventurarsi in profondità nel canyon del Tassili nel 1933, quando  s’inoltrò in esplorazione nella zona  degli Adjer, .Primo europeo a entrare in quel territorio, notò strane figure che risaltavano sulle pareti rocciose. Vide elefanti camminare insieme con le loro probosciti che sollevavano tronchi , un minaccioso rinoceronte  guardare con il corno rivolto verso di loro , giraffe con il collo teso, come se stassero mangiando cime di alberi. Oggi, l’area è un desolato deserto. Questi dipinti  rappresentano un’epoca ormai remota, quando il Sahara era una savana fertile, ricca di fauna selvatica e l’uomo viveva qui.

Bianca signora
Dopo la guerra, Brenans, in collaborazione con il mentore Lhote Abbé Breuil,  uno studioso di pitture rupestri del Paleolitico nella Francia meridionale, organizzarono una missione di studio e la mappatura delle pitture rupestri del Tassili .
Le condizioni del Tassili sono molto “dell’altro mondo”,ma si potrebbe obiettare che è  “dell’altro mondo” il paesaggio, che alcuni hanno effettivamente descritto come un “paesaggio lunare”.

 Il grande dio

Alieno sembra anche  un primo impatto con alcuni dei  dipinti. Lhote stesso ne descrive qualcuno come “volto marziano”. Lhote usa un termine che aveva sentito in televisione in un documentario di fantascienza, in cui un extraterrestre era simile alla figura sulla roccia. E’ il termine che più tardi sarà utilizzato da Erich von Däniken con la sua voglia di speculare sul fatto che alcuni disegni  sembravano  effettivamente raffigurazioni di visitatori extraterrestri.
I “marziani” sono quelli che più scientificamente Lhote etichettò come ” popolo delle teste rotonde”,. Ciò che Terence McKenna ritiene è che siano stati “dell’altro mondo”, non nel senso di extraterrestri, ma proprio nel senso di un’altra dimensione. La sua opinione è che  un certo numero di opere di arte rupestre  evidenzia la prove dell’esistenza di una la religione ormai perduta che si basava sull’uso di funghi allucinogeni. Ha notato disegni dove sembrano crescere  funghi in tutto il corpo dei personaggi, come a Matalen-Amazar e a Ti-n-Tazarift. In altri compaiono nelle loro mani, e  altri ancora  sono addirittura  ibridi di uomo e di funghi.

 

Egli ha osservato che nella rappresentazione dello  sciamano c’è sempre una maschera  sul volto e questi stringe funghi con le mani . Il fatto che questi erano sciamani è provato dalla presenza di maschere, uno strumento spesso indossato da quest’ultimi  durante le cerimonie religiose. Se qualcuno ancora non era convinto che queste persone erano “fuori delle loro menti” per dipingere le scene, McKenna ha messo in risalto  la struttura geometrica che circondava lo sciamano, che per lui e gli altri esperti è stata la prova definitiva dello stato di trance in cui erano entrati gli esecutori  della pittura .

 Il grande dio “marziano”

Sebbene McKenna fu quello che divulgò i dipinti, ciò che ha scritto era, in gran parte, in linea con ciò che aveva pensato Lhote stesso. Egli era convinto che l’arte era stata ispirata dalla magia e che tutto derivava da credenze religiose.Confrontò L’arte rupestre del Tassili con gli artisti che dipinsero all’interno delle grotte francesi e ,decenni dopo la morte di Lhote, furono  pubblicati studi , come quelli di David Lewis-Williams, che mettevano in evidenza ,anche per questi,il loro contesto sciamanico.
Altri ricercatori, in particolare Wim Zitman, hanno individuato una  connotazione astronomica ai diversi disegni.

 Personaggi volanti (con “astronave”)

  Sciamano

Zitman concentra la sua attenzione in particolare sul cosiddetto “nuotatore”, dipinto a Ti-n-Tazarift, e sostiene che questo è in realtà la rappresentazione di una costellazione, sostiene inoltre che ci sia  una connessione tra le pitture rupestri del Tassili e l’origine della civiltà egiziana, domandandosi se lo sciamano del Tassili non potesse essere stato il “Seguace di Horus”  oggetto di tante speculazioni  di Robert Bauval e Graham Hancock. Piuttosto che dalla mitica Atlantide la civiltà Egizia non potrebbe provenire più semplicemente da una regione a sud-est delle montagne, vale a dire il Tassili?

 “Uomo” volante
Ancora una volta la dimostrazione che poco o nulla conosciamo del nostro passato remoto.Possiamo fare solo congetture più o meno dimostrabili o credibili,ma nulla può essere certo e inconfutabile.
 Antinea

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Il pozzo di Oak Island


Ci possiamo solo chiedere che cosa sarebbe accaduto se il giovane Daniel McGinnis avesse scelto di andare ad esplorare qualche altra zona in quel fatidico giorno, nell’estate del 1795. Se lo avesse fatto, forse, nessun altro avrebbe camminato nei boschi all’estremità orientale di Oak Island per i  214 anni a venire. Nella foresta,  una depressione nel terreno di 4 metri forse non sarebbe mai stata notata, molto probabilmente rami frondosi avrebbero  oscurato il vecchio blocco che faceva da tappo al di sopra della buca. Senza queste indicazioni, non ci sarebbe stato nulla ad evidenziare che quello era un lavoro dell’uomo e, di conseguenza,non sarebba iniziata quella caccia al tesoro che,in più di 200 anni, è costata diverse fortune e molte vite.
Ma McGinnis vide la strana composizione , la depressione ed aggredì il blocco. Visioni del tesoro del pirata  riempirono la sua testa; tornò con due amici, John Smith, 19 anni, e Anthony Vaughan, 16 anni  e insieme, con pale e picconi,  iniziarono forse la più famosa caccia al tesoro dei tempi moderni.
Indubbiamente, i tre  pensarono che erano sul punto di scoprire il tesoro del capitano William Kidd. Storie riguardanti il fatto che il capitano avesse sepolto il suo tesoro  su un’isola  “ad est di Boston”  circolavano già nel 1600. La leggenda narra che un marinaio morente nelle Colonie della Nuova Inghilterra  confessò di aver fatto  parte del famoso  equipaggio di Kidd, ma non   nominò mai  una posizione esatta del bottino nascosto.

L’isola di McGinnis è a forma di arachide ed è circa 1200metri di lunghezza per 1000 metri di larghezza.  Smith e Vaughan  abitavano in una delle 300 piccole isole nella  Mahone Bay, Nova Scozia, Canada.
Dopo aver tagliato  i piccoli alberi per lavorare meglio, i tre giovani iniziarono a scavare la depressione. Dopo 60 cm colpirono un piano di pietre. Tolte queste scorsero il pozzo vero e proprio,le cui  pareti  erano state segnate dai colpi di piccone, una ulteriore prova che questa struttura era realizzata dall’uomo.
A 3 metri di livello sentirono rumore di legno e furono sicuri di aver urtato  lo scrigno del tesoro, ma si resero rapidamente conto che avevano trovato una piattaforma di tronchi di quercia affondati verticalmente. . Continuando a scavare, raggiunsero la profondità di 8 metri. A tale profondità decisero che non potevano continuare senza  aiuto e senza migliorare l’organizzazione del lavoro. Di una cosa  i tre erano certi… qualcosa ci doveva essere in fondo a quella maledetta buca, nessuno si sarebbe preso  la briga di scavare un pozzo profondo oltre 8 metri a meno che non avesse avuto qualcosa di molto prezioso da nascondere.
Non molto  fu  fatto per risolvere il mistero della buca fino al 1802 circa. Molte storie riguardano i tre amici in quegli anni, sembra probabile,però, che abbiano trascorso il tempo alla ricerca di un finanziatore che  fornisse assistenza per una ricerca più professionale. Simeone Lynds visitò il luogo e ,colpito dalla storia, formò una società per sostenere lo scavo.
Il lavoro fu avviato nell’estate del 1803. Dopo la pulizia del vecchio pozzo, la squadra iniziò a scavare verso il basso. La storia dice che colpirono un altra  piattaforma di quercia a 30 metri sotto la superficie.Continuando a scavare continuarono a trovare qualcosa ogni 3 metri: carbone, stucco, pietre e più piattaforme . Infine, a 25 o 28 metri di livello,  seconda una delle tante storie riportate ,fu rinvenuta  una tavola do pietra, di tre metri di lunghezza per 50 cm di larghezza, con strane lettere e cifre intagliate. A 30 metri di profondità, il pavimento della buca cominciò a trasformarsi in fango morbido. Prima della fine della giornata  gli scavatori sondarono  il fondo del vano con pali con la  speranza di trovare qualcosa e in effetti colpirono una barriera alla distanza della pertica. Il gruppo immaginò di aver finalmente raggiunto il tesoro e se ne andò a letto con la convinzione che l’indomani sarebbe stata una giornata fortunata.
Ritornando il giorno dopo, la squadra restò allibita…:  durante la notte l’acqua aveva riempito la buca con 20 metri di acqua. Tentare lo svuotamento fu  inutile. Non appena l’acqua era tolta dalla buca, scorreva veloce a riprendere il suo posto. Si tentò di scavare un pozzo vicino per raggiungere il tesoro attraverso  un tunnel parallelo che arrivasse sotto la buca allagata, ma anche quello fu invaso dall’acqua appena il tunnel si avvicinò al suo obiettivo.

Non fu fatto nessun altro tentativo di trovare il tesoro fino al 1849. Una nuova società fu costituita per finanziare lo scavo. Questo gruppo non ebbe molto successo,  si verificarono gli stessi problemi del 1802.Furono però avvantaggiati dall’utilizzo  di un trapano per sondare ciò che c’era al di sotto del piano della buca . Una piattaforma fu  costruita  appena al di sopra del livello di acqua e il trapano fu gestito da lì. Il trapano praticò un foro attraverso livelli che parevano di quercia, abete rosso e creta. Fu recuperato un campione di ciò che sembrava essere un pezzetto di un catenina d’oro.
Mentre si stava effettuando la  perforazione , qualcuno notò che l’acqua nella buca era salata e calava con la marea. Ciò portò all’ipotesi che i costruttori del pozzo avessero concepito un abile trappola, progettata per alluvionare la buca con l’acqua, se qualcuno si fosse avvicinato  troppo al tesoro.
L’esistenza della trappola  è stata confermata dalla scoperta che la spiaggia di Smith’s Cove, situata a circa 500 metri di distanza dalla buca, è artificiale. L’esame ha dimostrato che l’originale  creta della baia era stata scavata via e al suo posto sono state messe pietre rotonde di spiaggia, coperte da quattro o cinque pollici di  erba secca, coperta poi con  fibra di cocco per lo spessore di due pollici e, infine, la sabbia della spiaggia. In fondo a tutto questo sono state trovati cinque scarichi di fognature che, da qualche parte della costa,si fondevano in un unico tunnel che copriva la distanza tra la spiaggia e la buca. Il sistema è stato progettato in modo tale che la fibra di cocco e l’ erba secca garantissero un operazione di filtraggio cosicchè gli scarichi non  sarebbero stati  intasati dalla sabbia o dalla ghiaia della spiaggia. Aveva funzionato bene.Si tentò allora di costruire una paratoia che bloccasse lo scorrimento sotterraneo dell’acqua ,ma, dopo infruttuosi tentativi ,anche questa volta, il pozzo del tesoro fu abbandonato.

Il  tentativo seguente è datato 1861  ed è costato la prima vita umana prima. I ricercatori  cercarono di togliere l’acqua dal pozzo  usando pompe azionate da un motore a vapore .  Lo scoppio di una caldaia fu fatale ad un lavoratore ustionato a morte, mentre molti altri furono feriti. Altre vittime sono state evitate, quando una parete,probabilmente per una cattiva armatura della  fossa, indebolita anche dai tentativi di arrivare al tesoro scavando fino sotto di altri alberi, è crollata. Se vi fossero stati scrigni del tesoro, inevitabilmente sono stati trasportati molto più in  profondità dopo questo incidente. In questo periodo degli  scavi si riuscì a scoprire dove le inondazioni del tunnel  entravano , ma non fu trovato  alcun modo per far cessare l’ingresso dell’acqua. Nel 1864 le ricerche furono sospese per mancanza di fondi.
Nel 1866, 1893, 1909, 1931 e 1936 sono stati avviati ulteriori scavi. Sono stati utilizzati anche metodi estremi, compreso l’utilizzo della dinamite  per bloccare l’inondazione della galleria, la costruzione di una diga per arginare l’acqua di Smith’s Cove, e il ricorso a una gru con un secchio di scavo.Con nessuno di questi approcci è stata recuperata una sola moneta, mentre ai finanziatori questi sforzi sono costati una piccola fortuna  e a un lavoratore la sua vita. Uno di questi tentativi ha prodotto il risultato di bloccare l’inondazione della galleria da Smith’s Cove, solo per scoprire che entrava  acqua anche dalla  direzione opposta, attraverso un canale sotterraneo naturale o fabbricato dall’uomo arrivando anche dalla sponda meridionale.. Nel 1959 Robert Restall, ex motociclista , ha raccolto la sfida del pozzo con l’aiuto di suo  figlio diciottenne e 2 aiutanti.In quel periodo la buca era relativamente asciutta ,ma quando si sono calati sono rimasti intossicati dal monossido di carbonio. Quel giorno il mistero di Oak Islannd ha preteso il tributo di 4 vite

Nel 1965 Robert Dunfield ha cercato di applicare i moderni metodi di estrazione a cielo aperto per la caccia al tesoro. Utilizzando  una gru da  70-tonnellate ha scavato  vicino al sito originale una buca profonda 140 metri con 100 metri di diametro. Il terreno rimosso  è stato attentamente vagliato per trovare qualsiasi traccia del tesoro, ma sono stati trovati solo pochi frammenti di stoviglie in porcellana . Le forti piogge hanno fatto trascinare  il lavoro per mesi fino a che anche Dunfield ha finito i soldi. Il pozzo, e il suo misterioso costruttore, avevano vinto di nuovo.
Nel 1970  è stata costituita la Triton Alliance per proseguire la ricerca per il tesoro. Battaglie legali tra i proprietari delle diverse porzioni di isola ha portato a scarsi progressi. Un certo numero di fori sono stati fatti nel tentativo di trovare il tesoro e capire meglio la natura geologica di tutta l’isola, ma non  è stato recuperato il fantomatico oro. Molte caverne, ritenute  naturali, sono state trovate sotto l’isola. Una videocamera è stata calata  attraverso un foro in uno   spazio vicino al pozzo ed ha registrato un immagine che sembrava un petto e una mano umana a livello del polso. La qualità delle immagini era così scarsa, però, che era impossibile l’identificazione certa.

Nel 1995 la Triton ha proposto  al Woods Hole Oceanographic Institute di indagare sull’isola  e rendere,così, un parere in merito alla possibilità che vi sia qualcosa di prezioso in fondo alla buca.  La loro relazione in risposta è riservata,ma le persone che l’hanno vista possono solo dire che le sue conclusioni sono “non scoraggianti”. Attualmente un po ‘di lavoro è stato fatto per risistemare l’isola, e le controversie tra i proprietari della Triton sono stati risolti.Il mistero del pozzo di Oak Island resta però lontano da ogni soluzione.

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Alieni e vasi di fiori

Mastaba di Ptah-hotep (circa 2400 a.C.)
Saqqara, Egitto
Quasi a metà strada tra il complesso di Djoser e il Serapeo si trova la duplice mastaba di Akhet-hotep e Ptah-hotep, ispettori dei sacerdoti delle piramidi di Abusir durante tre regni della IV e V dinastia.

La parte riservata a Ptah-hotep è più modesta di quella del padre, ma rivaleggia con questa per le decorazioni dei vani a lui riservati dove si trovano scene di portatori d’offerta, di presentazioni di animali, di mietitura, di caccia con la rete, di costruzione di barche di papiro e scene di vita del defunto.
Nella cappella di Ptah-hotep si ammirano rilievi che raccontano la sua vita nella raffinatezza della sua abitazione ( mentre fa toeletta assiste ad un concerto ), durante banchetti o sacrifici, durante l’esercizio della caccia.
Egli è raffigurato seduto davanti alla tavola delle offerte mentre tende la mano destra verso la mensa a prendere possesso dell’offerta concessagli per privilegio reale e con la sinistra porta alla labbra un bicchiere.


Le offerte sono rappresentante in file sovrapposte sulle tavola secondo la proiezione ortogonale tipica della prospettiva egizia.

Nel complesso quelli di questa mastaba sono fra i più bei rilievi dell’ Antico Egitto conservati a Saqqara.
Inoltre, in un angolo della parete est della cappella appaiono, per la prima volta nell’iconografia egizia, la figura e il nome dell’artista che probabilmente ha diretto i lavori di decorazione.Ma c’è un mistero che aleggia in questa mastaba e in questo caso non abbiamo a che fare con presunti UFO come quelli nei quadri e negli affreschi del rinascimento, ma abbiamo presenze ben più ambigue che si trovano pubblicate in molti siti web:

 

Qui infatti non si parla  di dischi volanti, ma di un vero e proprio alieno, che sarebbe raffigurato in bassorilievo. Ecco cosa si legge in alcune pagine web: “Extraterrestrial Images on the Step Pyramid Saqqara”
“We were flabbergasted to say the least when we took a closer look at this image and could make out an ‘alien grey’ in the bottom of the picture! Does this prove that the building and placement of the Pyramids were aided by alien intelligence? (…) The implications of the discovery of this ancient stone picture that includes the alien are absolutely huge! and could be one of the most important clues to alien intervention into our ancient history ever made! We have included an enlargement of ‘The Grey’. This picture could explain why the Egyptians appeared to be so technically advanced, and how they were able to build the Pyramids with such precision.”
Purtroppo, per chi si entusiasma tanto per la scoperta del ritratto di un “Grigio”? in una tomba egizia, la brutta notizia è che quello non è un alieno. Infatti in un libro illustrato intitolato “All of Egypt” (Bonechi ed.) troviamo un particolare molto più chiaro e dettagliato dello stesso rilievo dipinto:

 

Si tratta di un vaso che contiene una pianta particolare che veniva offerta agli dei assieme a frutta e animali. Anche in altri punti della mastaba di Ptah-hotep troviamo raffigurata la stessa pianta. Un portatore ha addirittura in mano un piccolo vaso della stessa forma dell’ “alieno”:

Altri vasi, simili a quello scambiato per un alieno, si possono vedere nei dipinti che raffigurano il banchetto rituale offerto agli dei in molte altre tombe egizie.


Quindi nessun mistero nell’affresco dipinto nella mastaba di Ptah-hotep, a Saqqara non ci sono alieni “grigi” con minacciosi occhi a mandorla. La foto pubblicata in tante pagine web raffigura,come si è visto, l’offerta di doni per il banchetto degli dei. In particolare gli occhi del presunto “alieno” non sono altro che le foglie di una pianta che escono da un vaso.Ci sono già molti misteri irrisolti,molte cose fuori posto nella storia dell’uomo,senza bisogno di creare falsi ooparts alimentando così lo scetticismo acritico, che ha lo stesso valore della credulità assoluta.Prima di bere guardiamo cosa c’à nel bicchiere e, comunque, è meglio non buttare giù tutto di un fiato, ma assaporare lentamente per capire cosa ci stanno offrendo.L’antico Egitto è di per se un “mistero” che deve essere completamente svelato e che ,probabilmente,resterà nascosto nelle nebbie di un passato ormai troppo remoto.

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La Sfinge


La sfinge si può considerare,secondo alcuni studiosi, un gigantesco oopart. La più grande scultura monumentale nel mondo antico,  è scolpita su un unico crinale di pietra di 73 metri di lunghezza e 20 metri di altezza. La testa, che ha una struttura nettamente diversa dal corpo  è  interessata da  fenomeni di erosione meno gravi ed è ricavata in uno sperone di pietra dura. Per formare il corpo inferiore della Sfinge, enormi blocchi di pietra sono stati estratti dalla base della roccia ( questi blocchi sono stati poi utilizzati nel nucleo della muratura dei templi  a sud della Sfinge). Mentre qualche testardo egittologo ancora sostiene che la Sfinge è stata costruita durante la 4° Dinastia dal Faraone Chephren (Khafre), un cumulo di prove, sia archeologiche e geologiche, indicano che la Sfinge è di gran lunga più antica della 4 ° dinastia, ed è stata solo restaurata da Chephren durante il suo regno. Non vi sono indicazioni sulla Sfinge, o su uno dei templi  ad essa collegati, in grado di offrire la prova della costruzione ad opera di Chepren, ma la cosiddetta  “Stele dell’inventario” (scoperta sul pianoro di Giza nel 19 ° secolo), dice che il faraone Cheope ,  predecessore di Chepren ,  ordinò di costruire un tempio  accanto alla Sfinge, il che significa ovviamente che  era già lì, e quindi non avrebbe potuto essere costruita da Chephren in un secondo tempo.

Una età più antica della Sfinge è stata suggerita da René Adolphe  Schwaller de Lubicz , basata su considerazioni geologiche. Schwaller de Lubicz ha osservato, e geologi come Robert Schoch, professore di Geologia presso la Boston University lo hanno confermato, che l’estrema erosione sul corpo della Sfinge non poteva essere il risultato di vento e sabbia, come è stato universalmente ipotizzato, ma piuttosto è il risultato dello scorrimento dell’acqua. Geologi concordano sul fatto che in un lontano passato, l’Egitto è stato sottoposto a gravi inondazioni.

L’erosione del vento, poi ,non può aver avuto  luogo quando il corpo della Sfinge era  coperto dalla sabbia, e  questa è la condizione in cui si è trovata per la quasi totalità degli ultimi cinquemila anni – dal momento che la presunta data della sua costruzione sarebbe quella della 4a Dinastia. Inoltre, se le tempeste di sabbia avessero causato una profonda erosione della Sfinge, sarebbe logico  trovare la prova di tale erosione anche su altri monumenti egiziani costruiti con materiali simili ed esposti al vento per un analogo periodo di tempo. Ma il fatto è che, anche sulle strutture che hanno avuto più di esposizione alle tempeste di sabbia, vi sono effetti minimi di erosione,  sono state poco più che lucidate .

Ulteriori elementi di prova della grande età della Sfinge potrebbe essere indicato dal significato astronomico della sua forma che è quella di un leone. Circa ogni duemila anni (2160 per essere precisi),  a causa della precessione degli equinozi(il movimento della Terra che fa cambiare in modo lento ma continuo l’orientamento del suo asse di rotazione rispetto alla sfera ideale delle stelle fisse), il sole sorge su una diversa costellazione. Negli ultimi duemila anni,  è stato nella costellazione dei Pesci, simbolo dell’ età cristiana. Prima  dei Pesci, è stato nell’ Ariete , e prima ancora nel Toro. È interessante notare che, durante il primo e il secondo millennio aC, circa nell’età dell’ Ariete,  questa immagine era ben presente nell’iconografia Dinastica, mentre durante l’Età del Toro il  suo culto salì nella Creta di Minosse.

Forse i costruttori della Sfinge hanno  utilizzato nella progettazione anche un simbolismo astrologico per la loro scultura monumentale. Le conclusioni geologiche di cui sopra  indicano che la Sfinge sembra essere stata scolpito  prima del 10.000 aC, e questo periodo coincide infatti con l’Età del Leone, che durò dal 10970 al 8810 aC.


Ulteriore sostegno a favore di questa grande antichità della sfinge proviene da una  sorprendente correlazione cielo/terra dimostrata da sofisticati programmi per computer come Skyglobe 3.6. Questi programmi per computer sono in grado di generare immagini precise di qualsiasi parte del cielo notturno visto da diversi luoghi della terra, in qualsiasi momento, in un lontano passato o futuro. Graham Hancock spiega in Heaven’s Mirror che “le simulazioni al computer mostrano che nel 10500 aC la costellazione del Leone avrebbe ospitato il sole nell’equinozio di primavera – vale a dire un ora prima dell’alba;  Ciò significa che la  Sfinge,quella mattina, avrebbe guardato direttamente  verso  una costellazione nel cielo che si può ragionevolmente  considerare  la propria controparte celeste “.

La discussione che anima la scultura monumentale della Sfinge riguarda il fatto che questa  non può essere stata presente in un momento in cui (secondo la teoria  archeologica prevalente) non c’erano  civiltà sulla terra e l’uomo non  era ancora sviluppato al di là della condizione di  cacciatore-raccoglitore . La questione è talmente radicale che sono comprensibili le reticenze accademiche  nel riconoscere questa ipotesi.

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La mappa di Piri Reis


Nel 1929, un gruppo di storici trovò una stupefacente mappa tracciata su una  pelle di gazzella.
La ricerca che fu fatta dimostrò che si trattava di un vero e proprio documento stilato nel 1513 da Piri Reis, un famoso ammiraglio della flotta turca nel XVI secolo, con la  passione per la cartografia. Il suo alto grado all’interno della marina militare turco gli  permise di avere un accesso privilegiato alla Biblioteca imperiale di Costantinopoli.
L’ammiraglio turco ammise, in una serie di note sulla carta geografica, che aveva compilato e copiato i dati usando come fonte  un gran numero di mappe , alcune delle quali risalenti al IV secolo aC, ed anche più antiche.
La mappa di Piri Reis mostra la costa occidentale d’Africa, la costa orientale del Sud America, e la costa settentrionale dell’ Antartide,quest’ultima perfettamente dettagliata. Il dato più sconcertante è, però, non tanto il fatto che Piri Reis sia riuscito a riprodurre una  mappa così accurata della regione antartica 300 anni prima che fosse scoperto, ma che questa mostra la costa nascosta sotto il ghiaccio. Geologicamente, la Queen Maud Land,  dal 4000 aC è completamente ricoperta dal pack.

Il 6 luglio 1960 la US Air Force ha risposto al Prof. Charles H. Hapgood del Collegio Keene, alla sua richiesta di una valutazione dell’antica carta di Piri Reis:
6, luglio, 1960
Oggetto: Mappa dell’Ammiraglio Piri Reis
A: Prof. Charles H. Hapgood
Keene College
Keene, New Hampshire
Caro professor Hapgood,
La sua richiesta di valutazione di alcuni insoliti aspetti della mappa di Piri Reis datata 1513  è stata esaminata da questa organizzazione. L’affermazione secondo cui nella parte inferiore della mappa è raffigurata la Princess Martha Coast della Queen Maud Land, in Antartide, e la penisola di Palmer, è ragionevole. Riteniamo che questa sia la più logica e, con ogni probabilità, la corretta interpretazione della mappa.
Il dettaglio geografico mostrato nella parte inferiore della mappa collima notevolmente con i risultati del profilo sismico effettuate  da parte della British Antarctic Expedition del 1949.
Ciò indica che la linea di costa era stata mappata prima che fosse  coperta dalla calotta di ghiaccio.
La calotta di ghiaccio in questa regione è ormai circa un Km di spessore.
Non abbiamo alcuna idea di come i dati su questa mappa possa essere conciliato con il presunto stato delle conoscenze geografiche nel 1513.
Harold Z. Ohlmeyer Lt. Colonnello, Comandante USAF

La scienza ufficiale ha sempre affermato  che  la calotta di ghiaccio che copre l’Antartico c’è da milioni di anni.
La mappa di Piri Reis mostra che la parte settentrionale del continente che è stata mappata prima di essere coperta dal  ghiaccio. Questo dovrebbe fare pensare che è stata eseguita milioni di anni fa, ma questo è impossibile in quanto c’è il non trascurabile particolare che l’uomo  in quel periodo ancora non esisteva.  Ulteriori e più accurati studi hanno dimostrato che l’ultimo periodo in cui l’Antartide era libera dai ghiacci si è concluso circa 6000 anni fa. Ci sono ancora dubbi circa l’inizio di questo periodo in cui il ghiaccio era assente, comunque è stato datato da diversi ricercatori tra i 13000 e i 9000 anni aC.
La domanda è: Chi ha mappato la Queen Maud Land dell’Antartico 6000 anni fa? Qual’è la civiltà sconosciuta che ha avuto la tecnologia o la necessità di farlo?
È noto che le prime civiltà, secondo la storia tradizionale, si sono sviluppate all’incirca nel 3000 aC e che sono state seguite ,nell’arco di un millennio, dalle civiltà della valle dell’ Indo  e quella  cinese. Di conseguenza, nessuna delle civiltà note avrebbe potuto fare un lavoro di questo genere. Chi c’era qui nel 4000 aC, in grado di fare cose che solo ora sono possibili con le moderne tecnologie?
Per tutto il Medio Evo circolavano una serie di disegni denominati “portolani” ( discendevano direttamente dai peripli di origine greca e latina: in epoca classica, in assenza di vere e proprie carte nautiche, la navigazione veniva effettuata servendosi di libri che descrivevano la costa, non necessariamente destinati alla nautica, ma più spesso consistenti in resoconti di precedenti viaggi, o celebrazioni delle gesta di condottieri o regnanti.), con le rotte di navigazione più comuni, mostrando le coste,i porti, le baie, e la  maggior parte di queste carte era incentrato sul Mediterraneo , il Mar Egeo , e altri rotte note.Erano però pochissimi quelli che riportavano terre  sconosciute, e ancora meno quelli che circolano tra i marinai e che, apparentemente,avrebbero mantenuto il segreto sulle loro conoscenze.

 

Il Dott. Charles Hapgood, nel suo libro ” Antiche Mappe dei Re del Mare” (Turnstone libri, Londra 1979, prefazione), ha affermato che:
“Sembra che una corretta informazione sia stata trasmessa da persona a persona. Sembra che le tabelle possano avere avuto origine da un popolo sconosciuto e poi siano state diffuse forse dai Fenici, che sono stati, per un migliaio di anni e oltre, i più grandi navigatori del mondo antico. Abbiamo la prova che i dati sono stati raccolti e studiati nella grande biblioteca di Alessandria (Egitto) e la elaborazione di questi è stata effettuata da geografi che hanno lavorato lì.”
Secondo la ricostruzione di Hapgood ,Piri Reis probabilmente entrò in possesso delle carte antiche,a Costantinopoli dove copie di questi documenti e di alcuni disegni  originali furono trasferiti dalla Biblioteca di Alessandria, la più importante biblioteca di tempi antichi. Poi, nel 1204, anno della quarta crociata, quando i veneziani entrarono a Costantinopoli, quelle mappe hanno cominciato a circolare tra i marinai.
“La maggior parte di queste mappe – Hapgood prosegue – riguardano il Mediterraneo e il Mar Nero, ma sono sopravvissute anche carte di altri settori, tra queste le mappe delle Americhe e le mappe degli oceani Artico e Antartico. E’chiaro che gli antichi viandanti hanno percorso la terra  da polo a polo.  Può sembrare incredibile, la prova, tuttavia, indica che alcuni popoli antichi hanno esplorato l’Antartico, quando le sue coste erano libere dal ghiaccio. È chiaro anche che avevano uno strumento di navigazione per determinare con precisione la longitudine e che era di gran lunga superiore a qualsiasi cosa in possesso  dei popoli  antichi, medievali o dei tempi moderni,almeno fino alla seconda metà del 18 ° secolo. […]
Questa prova di una  tecnologia di supporto ormai perduta può dare credito a molte delle  ipotesi che sono state portate avanti di una civiltà perduta in tempi remoti. Gli studiosi sono stati in grado di respingere la maggior parte di tali testimonianze, interpretandole come semplice mito, ma qui abbiamo una prova che non può essere respinta. Ciò  ci induce a riconsiderare con una mentalità aperta  tutte le altre ipotesi che sono state portate avanti in passato. “(Ibid.)
Hapgood ha dimostrato che la  Mappa di Piri Reis è tracciata con geometria-aerea, contenente latitudini e longitudini, ed angoli retti in un tradizionale “rete”, ma ovviamente è copiato da un precedente mappa che è stata progettata utilizzando trigonometria sferica! Non solo i primi disegnatori della mappa sapevano che la Terra è rotonda, ma essi erano a conoscenza della sua vera circonferenza!
Hapggod  inviò la sua collezione di antiche carte geografiche (come si vede la mappa Piri Reis non è l’unica …) a Richard Strachan, presso il Massachusetts Institute of Technology. Hapggod voleva sapere esattamente il livello di matematica necessario a compilare le mappe. Strachan  rispose, nel 1965, dicendo che il livello doveva essere molto elevato:gli autori dovevano conoscere la trigonometria sferoidale, la curvatura della terra e i metodi di proiezione.
Il modo in cui la mappa di Piri Reis mostra la Queen Maud Land, le sue coste, i suoi fiumi, catene montuose, altopiani, deserti, le baie, è stato confermato da una spedizione anglo-svedese  nell’Antartico (come detto da Olhmeyer nella sua lettera a Hapggod); i ricercatori, utilizzando sonar e sismici sondaggi sismici, hanno indicato che quelle insenature, fiumi, ecc, sono sotto la calotta dighiaccio, che è circa un Km di spessore.

Come si può vedere qui sotto, una proiezione azimutale (guardando il mondo da un punto al di sopra del globo), al di sopra del Cairo, Africa (Egitto), dimostra che la mappa di Piri Reis corrisponde più o meno con il quarto in basso a destra di questa mappa se si ruota  di circa 20 gradi in senso antiorario.

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Striscia di buchi, Valle Pisco, Perù


Migliaia di  buche delle dimensioni di un uomo sono state scavate nella nuda roccia  vicino a Valle Pisco, Perù, su una pianura chiamata Cajamarquilla. Questi strani buchi (pare 6900),  si estendono per circa 1450 mt in una banda larga approssimativamente 20 mt di terreno montuoso e  irregolare e sono stati qui da così tanto tempo che le persone non hanno idea di chi li ha fatti e perché. Strano  e divertente e il fatto che nessuno ha visto l’ immagine nella sua interezza, finché la superficie forata non è stata vista dal cielo.

Gli archeologi hanno immaginato che siano stati scavati per immagazzinare il grano ,ma una obiezione si presenta  a questa ipotesi: i costruttori avrebbero sprecato anni di duro lavoro per fare depositi così piccoli ,non potevano  costruire meno camere e più grandi? Ok, hanno detto gli archeologi; forse  sono stati utilizzati come  tombe per una sola persona a sviluppo verticale? Ma non ci sono   ossa, artefatti, , iscrizioni, gioielli … nemmeno un dente o una frazione di capello è stato trovato nei buchi. Inoltre non hanno coperchi per sigillare come dovrebbe avere una tomba e non c’è storia sacra o anche  mito che sono  stati tramandati fino ad oggi per etichettarli come tali.

In alcune sezioni ci sono buchi  fatti con perfetta precisione, alcuni allineamenti funzionano in curva ad arco, in alcune linee sono senza ordine alcuno.Variano nella profondità, da circa 6-7 metri a quelli che sembrano solo accennati.A tutt’oggi, nessuno ha idea del perché sono qui, chi li fece e che cosa avessero significato.Erich von Däniken(il noto scrittore svizzero fautore della teoria del paleocontatto)studiò i fori,trovando conferme sulla loro esistenza,prima di visitarli di persona,su di un vecchio National Geographic del 1933.Naturalmente ipotizzò tracce di raggi laser,prove di perforazione per la ricerca di metalli misteriosi ed interventi extraterrestri nelle realizzazione di questa striscia di fori che avanza per centinaia di metri per poi scomparire nel nebbioso Perù andino.

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Il manoscritto Voynich


In questo caso  più che di un ooparts si tratta di un rompicapo storico/letterario.Il manoscritto medioevale Voynich è infatti considerato  il  “Manoscritto più misterioso del mondo”e resiste, nonostante tutti gli sforzi, a qualsiasi tipo di traduzione,quindi, o  è una bufala perfetta, o un ingegnoso e irrisovilbile cifrario. Il codice è così chiamato dal nome del suo scopritore,  il commerciante di libri antichi e collezionista americano Wilfrid M. Voynich, che lo  ha trovato  nel 1912, tra una collezione di antichi manoscritti conservati a villa Mondragone a Frascati, vicino Roma,  trasformata in uno Collegio di Gesuiti chiuso poi nel 1953.
Il manoscritto Voynich, per qualcuno attribuibile a Roger Bacon,  è un testo scientifico in un linguaggio non identificato scritto probabilmente nell’ Europa centrale, si pensa nel 13°/14° secolo.
Anche sulla base delle prove di calligrafia, i disegni, la qualità delle pagine, e i pigmenti, lo stesso Wilfrid Voynich stimò che il manoscritto era stato creato alla fine del 13 ° secolo. Il codice è piccolo, 22,5 centimetri per 16, ma spesso, quasi 235 pagine. È scritto,come detto, in una lingua  sconosciuta, di cui non c’è  alcun altro esempio nel mondo. E illustrato abbondantemente (e incomprensibilmente)con disegni colorati di:
piante non identificate;
quelle che sembrano essere ricette a base di erbe;
piccoli nudi femminile che amoreggiano in vasche collegate da intricate estrane tubazioni  e parti anatomiche di concezione idraulica; misteriosi grafici in cui alcuni oggetti astronomici sembrano  visti attraverso un telescopio e  cellule vive appaiono viste attraverso un microscopio;
disegni in cui si può vedere uno strano calendario di segni zodiacali, popolato da persone piccole e nude in  contenitori di rifiuti.

Da un pezzo di carta, che una volta era allegato al manoscritto Voynich, e che ora è memorizzato  nella  biblioteca Beinecke, è noto che il libro una volta faceva parte della biblioteca privata di Petrus Beckx SJ generale della Compagnia di Gesù.
La lingua del codice è in ordine alfabetico, ma  un alfabeto che ha da diciannove a ventotto lettere,e non ha  nessun rapporto con l’inglese o qualsiasi sistema europeo di lettere. Sul  testo non c’è nessuna apparente correzione. Vi è la prova di due diverse “lingue” (oggetto di indagine da parte di Currier e D’Imperio) e più di uno scrittore; probabilmente anche questo complica lo schema di codifica già di per se ambiguo.
Voynich avrebbe  voluto decifrare il misterioso manoscritto ed ha fornito le copie fotografiche ad un certo numero di esperti. Tuttavia, nonostante gli sforzi di molti ben noti cryptologisti e studiosi, rimane il libro impossibile da leggere. Ci sono alcune indicazioni di decifrazione, ma fino ad oggi, nessuna di queste può essere d’aiuto per una traduzione completa.

Il libro è stato acquistato da HP Kraus (un antiquario del libro  di New York) nel 1961 per la somma di $ 24.500. Dopo qualche tempo lo ha  valutato a $ 160.000, ma non è riuscito a trovare un acquirente. Infine lo donò alla Yale University nel 1969, dove è rimansto fino ad oggi presso la “Beinecke Rare Book Library” con il numero di catalogo SM 408.
E’ noto da una lettera di Johannes Marcus Marci, rettore dell’ Università di Praga, a Atanasio Kircher, uno studioso gesuita, datata 1666, che il manoscritto fu stato acquistato dall’ imperatore Rodolfo II di Boemia (1552-1612).
Storicamente,il libro compare infatti per la prima volta nel 1586 alla corte dell’imperatore, che fu uno dei più eccentrici monarchi europei di questo e di qualsiasi altro periodo. Rodolfo amava accogliere attorno a se nani ed aveva un reggimento di “giganti” nel suo esercito. Era circondato da astrologi, e fu affascinato da giochi e codici e della musica.  Era un patito di alchimia e ha sostenuto la stampa di libri su questo argomento.
Sembra che uno sconosciuto  abbia venduto il manoscritto al re per trecento ducati d’oro, che, tradotti in unità monetaria moderna, corrisponde a circa quattordici mila dollari. Questa è una sorprendente quantità di denaro pagata per un manoscritto in quel momento, ciò è indicativo del fatto che i l’imperatore deve essere stato molto impressionato dal codice.
Accompagnata al manoscritto c’era una lettera che dichiarava che  il lavoro era stato compiuto dall’inglese Roger Bacon, che visse nel XIII secolo e che è stato un noto astronomo pre-copernicano. Solo due anni prima della comparsa del Manoscritto Voynich, John Dee, il grande navigatore inglese, astrologo, mago e occultista aveva insegnato a Praga al giovane Bacon.
Il manoscritto in qualche modo finì in mano di Jacobus de Tepenecz,  direttore dei  giardini botanici dell’imperatore( sua è la firma  presente in folio 1r) e si è immaginato che questo sarebbe potuto avvenire solo dopo il 1608, quando Jacobus Horcicki ricevette il titolo ‘de Tepenecz’. IL 1608  è la prima data definitiva e storica relativa al Manoscritto.

I codici dai primi del XVI secolo in poi in Europa sono tutti derivati da “La Stenographica di Johannes Trethemius”, Vescovo di Sponheim, un alchimista che ha scritto trattati sulla crittografia di messaggi segreti. Egli aveva un numero limitato di metodi, e non solo militari ma alchemici, religiosi e politici ma il libro è stato composto  in  altro modo,etraneo  al periodo che durò fino al XVII secolo. Quindi il manoscritto Voynich non sembra avere alcun rapporto con i codici derivati dall’opera di  Johannes Trethemius di Sponheim.
Nel 1622  il manoscritto passò in possesso a un individuo non identificato, che lo  lasciò, di sua volontà ,a Marci.
Marci inviò il manoscritto immediatamente con la lettera ad Athanasius Kircher (un sacerdote gesuita e studioso di Roma) nel 1666 . Fino al 1912 ,quando Voynich lo scoprì,si crede  che il manoscritto  sia stato conservato o dimenticato in qualche biblioteca e infine trasferito al Collegio dei Gesuiti a Villa Mondragone. Il contenuto del manoscritto sono suddivisi in 5 categorie: La prima e la più grande sezione contiene 130 pagine con disegni di piante di accompagnamento al testo, ed è chiamata la divisione Botanica.
La seconda contiene 26 pagine di disegni,prevalentemente astrologici e astronomici.
La terza sezione che contiene 4 pagine di testo e 28 disegni sembrerebbe essere di natura biologica.
La quarta divisione contiene 34 pagine di disegni, che sono di natura farmaceutica ed erboristica.
L’ultima sezione del manoscritto contiene 23 pagine di testo organizzate in brevi paragrafi, ciascuno comincia con una stella. L’ultima pagina (il 24 di questa divisione), contiene  solo il disegno di una chiave.

Se volete vedere le pagine del manscritto di Voynich cliccate qui.

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Aerei ed elicotteri dalla Colombia pre-Inca all’Egitto dei geroglifici.


 Per rafforzare la tesi che il volo fosse conosciuto ,chissà per quali motivi,nell’antichità ,altri OOPART, cioè una serie di monili d’oro precolombiani rinvenuti in Bolivia, costituiscono un vero e proprio richiamo per il cielo. Nel 1954 il governo della Colombia mandò parte della sua collezione di antichi oggetti d’oro in un tour negli Stati Uniti. Fra i monili, un pendente dorato che riproduceva un modello di velivolo ad alta velocità databile almeno 1000 anni fa, identificabile come parte della cultura pre-lnca Sinu. Scambiati inizialmente per gioielli a forma di volatile, sembrano raffigurare, degli aerei ,nella forma quasi più vicini allo shuttle: hanno le ali squadrate, la calotta per l’equipaggio ed il timone verticale posteriore.


La conclusione degli studiosi è che non rappresenti alcun animale, in quanto le ali sono molto rigide e a delta. Il timone è di forma triangolare, a superficie piatta e rigidamente perpendicolare alle ali. A rendere più fitto il mistero, sulla parte laterale sinistra del timone appare un’insegna, esattamente dove si pone nei velivoli odierni. L’insegna è ancora più “fuori posto” di tutto l’oggetto in quanto si tratterebbe della lettera aramaica beth o B.

Questo starebbe ad indicare che l’oggetto non sarebbe originario della Colombia ma antecedente, proprio di una qualche popolazione del Medio Oriente che conosceva il segreto del volo. Il team di ricerca “The Enterprise Mission” dello scienziato di frontiera Richard Hoagland   hanno valutato i manufatti con gli scienziati tedeschi dott. Algund Eeboom e Mr. Peter Belting.Eeboom e Belting collaborando,hanno progettato diagrammi schematici perfetti dei piccoli oggetti.

Poi hanno espanso le proporzioni di questi modelli in modo da costruire modelli in scala funzionanti.  Con loro grande sorpresa, hanno scoperto che semplicemente inserendo un elica sul davanti e stabilizzatori sulle ali, gli aerei non solo volavano, ma erano anche capaci di eseguire complesse manovre aeronautiche tramite telecomando.

Ancora più strane e spiazzanti sono il gruppo di figure trovate   a Abydos (o Abedjw) nel Tempio di Sethy I (XIII sec. a.C.  con splendidi rilievi policromi che rappresentano una delle vette dell’arte egizia)

alcuni anni fa quando uno dei pannelli in pietra recante dei geroglifici, a circa 6 metri di altezza, si distaccò dal muro e cadde a terra frantumandosi.

Questo  pannello però fungeva da copertura a uno più vecchio  che recava immagini in rilievo che hanno un’insolita somiglianza con velivoli moderni.
. Il tempio in cui il faraone si associa al culto di Osiride rende omaggio a ben sette dei: Osiride, Iside, Horus (la triade di Abydos), Amon di Tebe, Ptah di Memphis, Ra-Harakhte di Heliopolis (i tre mggiori centri politico-religiosi del paese) e lo stesso Sethy I divinizzato. Su un architrave vicino all’ingresso del tempio sono visibili i geroglifici “Ooparts” che sembrano rappresentare un elicottero ed alcuni aerei.

 Per trovarli basta chiedere “dell’elicottero” ad uno dei guardiani che, con una mancia, vi indicherà il punto preciso.  Secondo gli archeologi le incisioni, sebbene sbalorditive,  sono (come al solito) combinazioni casuali di simboli abbastanza comuni.Sembra che i faraoni adorassero comunque svolazzare sulle rive del Nilo,infatti  al Museo  Egizio  del  Cairo si trova un reperto sconvolgente.Un modellino che per molto  tempo  fu creduto una riproduzione di  un uccello e venne catalogato con il n°6347.Trovato nel 1891 nella tomba di Pa-di-Imen a Sakkara e risalente almeno al 200 a.C. è realizzato in legno di sicomoro e solamente nel 1969 il dottor Khalil Messiha si accorse che l’animale era senza gambe, aveva strane ali e una cosa  insolita,  posta  verticalmente sulla coda.

Gli studiosi allora  lo esaminarono in modo approfondito e scoprirono che si trattava di un modello  di  aliante  pesante solo 39,12 grammi.Il muso di 3,2 cm e  la fusoliera sono modellati tenendo conto  dell’aereodinamica. Le ali misurano 18 cm e sono leggermente curve, progettate in modo  da  creare  un  vuoto  di  portanza  nella parte  superiore.Il corpo  è  lungo  14 cm  e  il piano della coda è rialzato. Le misure sono ideali per garantire il volo. La scritta “Pa-Diemen”, che lo identifica, significa dono   di   Amon, il  signore  del  soffio  d’aria . Il  ministro  della  cultura   egiziano Mohamed  Gamal  El-Din  Moukhar  nominò  nel  1971  un   gruppo  di  esperti   per esaminare la sensazionale scoperta.L’anno successivo fu inaugurata al Museo Egizio delle  Antichità  la  prima  mostra  di  aereoplanini  dell’antico  Egitto ,  con  ben  14 esemplari.

(Per onestà intellettuale dobbiamo aggiungere che, osservando le foto di lato e di fronte,sembra proprio un uccello/aliante)

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Vimana,macchine volanti sull’India antica.

La designazione originale della macchina volante era, nel Rigveda che va dal primo al decimo Manadal, “Ratha”,  lo Yajurveda,che è considerato posteriore al Riveda, chiama le macchine volanti Vimana. . Il Samarangana Sutradhara suggerisce che il disegno dei Ratha o Vimana fu in un secondo tempo imitato per costruire palazzi e soprattutto templi. Come indicato da Sayana gli aerei venivano costruiti per gli Dei e tali veicoli erano multiformi,ma il modello triangolare e quello quadrangolare sopravvissero agli altri a causa della loro praticità d’uso. I Puspaka erano altri tipi di aerei più usati per la loro manovrabilità. Nei testi Vedici la forma di questi aerei viene descritta come triangolare con un area interna molto vasta e che potevano trasportare fino a 8 persone d’equipaggio, un tipo di ala triangolare, che spuntava da una superficie conica, lo rendeva stabile e facilmente manovrabile. Nel Mahabharata, le descrizioni delle città aeroportuali sembrano indicare un grado altissimo di tecnologia e i piloti erano abilissimi nel far decollare gli aerei sopra le nubi .
Nel 1875, venne scoperto un antico manoscritto del IV sec. a.C. composto dal saggio Bharadwaja, il “Vymaanika-Shastra” o “Scienza dell’Aeronautica” riporta in dettaglio la costruzione e le caratteristiche di volo di un Vimana, il quale si differenzia in quattro modelli dalle diverse funzioni: Shakuna, Sundara, Rukma e Tripura. I disegni che emergono dalle descrizioni mostrano autentiche navi spaziali.La menzione di aeroplani, ricorre molte volte in tutta la letteratura Vedica. Il verso che segue (tratto dallo Yajur-Veda), descrive il movimento di una di tali macchine:
Yajur Veda, 10.19 “O ingegnere specializzato, tu che progetti navi oceaniche, spinte da motori ad acqua come quelli usati nei nostri aeroplani, che danno la capacità di alzarsi in verticale oltre le nubi e viaggiare in tutta la regione. Sii tu, prosperoso in questo mondo e vola attraverso l’aria e attraverso la luce”.
Il Rg Veda, il documento più antico della storia, descrive alcuni di questi mezzi di trasporto:
Jalayan – è un veicolo progettato per muoversi sia in aria che in acqua… (Rig Veda 6.58.3)
Kaara – è un veicolo progettato per muoversi sia sulla terra che in acqua… (Rig Veda 9.14.1)
Tritala – è un veicolo progettato per muoversi nei tre elementi… (Rig Veda 3.14.1)
Trichakra Ratha – è un veicolo a tre motori progettato per muoversi nell’aria…(Rig Veda 4.36.1)
Vaayu Ratha – è una veicolo sospinto da un motore ad aria… (Rig Veda 5.41.6)
Vidyut Ratha – un veicolo sospinto da un motore potentissimo…è (Rig Veda 3.14.1).
Il termine Kathasaritsagara indica operai altamente specializzati, questi potevano essere dei Rajyadhara, esperti in meccanica e in grado di costruire navi oceaniche o dei Pranadhara, esperti nel fabbricare macchine volanti capaci di trasportare oltre 1000 passeggeri. I testi affermano che queste macchine erano capaci di coprire in pochi istanti lunghissime distanze.
La parola Vimana in sanscrito è formata dal prefisso vi, “uccello” o “volare”, e dal suffisso man che indica “luogo abitato costruito artificialmente”. Il vocabolo assume così il significato di “uccello artificiale abitato”.

Tornando al Vymaanika–Shastra, questo manoscritto, dopo aver fornito istruzioni sull’equipaggiamento e la dieta dei piloti simile a quella degli astronauti, prosegue elencando 32 segreti che gli stessi devono adottare in volo, il più importante dei quali il trasferimento di poteri spirituali latenti nell’uomo alla macchina stessa. Seguono: invisibilità, alterazione della forma, velocità ipersonica, radar, telecamere spia e apparati di rilevamento sonoro, raggi infrarossi, creazione di ologrammi per confondere i nemici, concentrazione della luce solare su vaste zone, oscurità temporanea, armi ultrasoniche e batteriologiche.
Ma il Vymaanika–Shastra non è l’unica opera in circolazione sui Vimana; nella letteratura indiana, la quasi totalità dei testi sacri ne fa menzione, dai quattro Veda, ai Brahmana, allo Srimad–Bhagavatam sino a comparire in numerosi trattati di varia natura, classificati come cronache documentate. Tra questi, il “Samarangana Sutradhara” stabilisce che le aeronavi disponevano di una propulsione a mercurio e potevano muoversi anche grazie al suono. Il “Drona Parva”, una parte del più ampio “Mahabharata”, ce ne illustra le modalità: “La Mente divenne il suolo che sosteneva quel vimana, la Parola divenne il binario sul quale voleva procedere…E la sillaba OM piazzata davanti a quel carro lo rendeva straordinariamente bello. Quando si mosse, il suo rombo riempì tutti i punti della bussola”.

        

La necessità di tenere nascoste ai profani le vie del cielo per il bene dell’umanità fu il proposito di re Ashoka, imperatore buddhista della dinastia Maurya vissuto in India dal 304 al 232 a.C.  I suoi manoscritti  sono gli archivi più interessanti per istaurare una ricerca sull’esistenza di aerei e astronavi  Vimana. L’esistenza di macchine volanti (di qualsiasi forma), era così nota agli antichi indiani, tanto che queste trovarono posto tra gli editti reali di Asoka, scritti durante il suo regno.
Perfino nel “Kama Sutra” di Vatsyana, troviamo riferimenti ad invenzioni meccaniche originate dalle 64 scienze ausiliarie. Anche nell’Arthasastra di Kautilya (III° secolo A.C.), che è un opera che tratta principalmente di economia e politica, sono contenute  informazioni di carattere scientifico e spesso fa riferimento agli ingegneri meccanici e piloti noti come Saubhika…
Una discussione riguardo all’esistenza e all’uso di macchine volanti nell’India antica, deve essere supportata da una profonda conoscenza della cosmogonia indiana. Uno studio accurato della letteratura vedica, mostrerà che questa non era solo una raccolta di poesie primordiali, ma una letteratura varia appartenente ad una società potente e dinamica dove le persone avevano la conoscenza del vapore, delle nubi, delle stagioni, dei diversi tipi di vento, della forza del vento che soffia a diverse altezze, della distesa del cielo e così via… Nel Rigveda 1.101.4, troviamo riferimenti a tre tipi di nuvole, composte da fumi e vapori, abbiamo l’esempio dell’acqua che attraverso il calore evapora trasformandosi in nubi. Molti concetti meteorologici indiani sono stati ripresi da versi contenuti nel Rigveda. Dileep Kumar Kanjilal conclude la sua ricerca dicendo:
“Col passare del tempo ed a causa di eventi storici e calamità naturali, le macchine volanti andarono perdute insieme ai segreti della loro costruzione”.

Tornando al re Asoka,egli creò la “Società Segreta dei Nove Sconosciuti” con il compito di catalogare la scienza del tempo in nove libri, tra cui “I segreti della gravitazione”, custodito in luoghi remoti dell’Asia. Diversi anni fa i Cinesi rinvennero antichi documenti sanscriti che trattavano dell’energia antigravità presente nell’uomo capace di far levitare ogni cosa. I veicoli interstellari chiamati “Astras”, avevano la facoltà di rendersi invisibili grazie all’energia antima e di operare deviazioni nello spazio–tempo tramite la facoltà di “diventare pesanti come una montagna di piombo”. Notiamo che “astra” in lingua latina è il plurale di stella, mentre antima ha dato origine ad antimateria, etimologicamente un’energia composta interamente di antiparticelle.
La forma aerodinamica degli apparecchi spinse ad innalzare meravigliose strutture sacre di forma piramidale, Vimana per i seguaci del tantrismo, ancor oggi visibili in tutta l’India, che indicano il tempio del dio in movimento. Varie razze di divinità, costantemente in contatto con i monarchi indiani, assistevano ai sacrifici rituali spandendo fiori dai loro vimana, e ,come mostravano i disegni, riprendevano, al termine, la via del cielo.
Arjuna, leggendario eroe vedico amico di Krishna, parla nei suoi viaggi interplanetari di lontane regioni ove non brillano Sole e Luna, ma stelle fulgenti piccolissime se osservate dal pianeta azzurro. Il re Citaketu viaggiava nello spazio su un veicolo luminoso donatogli dal dio Vishnu e si imbatte in Siva, che scompare velocemente alla vista nella sua astronave.
Il “Mahabharata” descrive un utilizzo tattico dei vimana in guerre campali, con il lancio di proiettili sfolgoranti che vaporizzano le creature seminando il panico e narra le vicende del monarca Salva che, desideroso di annientare la città di Krishna, ottiene dall’architetto di un altro sistema planetario un portentoso Vimana. Il re bombarda inizialmente dall’alto la cittadella con sassi e tronchi d’albero, e utilizza in seguito un’arma capace di manipolare le condizioni atmosferiche, ma alla fine Krishna otterrà la sua vittoria fronteggiando in cielo Salva grazie a un missile ad ultrasuoni che uccide all’istante. L’episodio svela che l’uomo, debitamente istruito, era pur sempre impotente di fronte a una simile tecnologia, appannaggio degli dèi, che portò millenni prima al trionfo del glorioso Impero Rama, in una terribile guerra stellare ricordata nel “Ramayana” di Valmiki.

Un racconto e un’analisi veramente affascinante!Tutto ciò viene però completato dall’articolo (che riporto integralmente ) del dott.Corrado Malanga.

Ricerca della Verità nell’India Antica del Dott. Corrado Malanga
testi: Vaimanika Shashtra – Samarangana Stradhara – Yuktikalpatani of Bohja – Rgveda, Yajurveda – Atharvaveda – Ramayana –
Mahabharata – Puranas – Bhagaravata – Avadhana – Kathasaritsagara -Raghuramsa – darma Abhijnanasakuntalam of Kalidasa – Abimaraka of Bhasa – Jatalas
VAIMANIKA – SASTRA ( Vymaanika-Shaastra ) – Questa storia comincia nel lontano 1918 e precisamente il giorno 1 del mese di
agosto. In quella data infatti un filosofo e venerabile Pandit Subbaraya Sastry, cominciò a dettare in sanscrito quelle che erano le sue conoscenze di storia indiana, tramandate per via orale. Bisogna precisare che più di diecimila anni di storia indiana sono così frammentariamente giunti ai giorni nostri, proprio attraverso quei “saggi uomini libro” che parlavano in sanscrito (la lingua degli dei) e non in hindi (la lingua del popolo). Molti di questi testi giacciono ancora non tradotti in inglese e, per questo motivo, inaccessibili alla cultura occidentale, mentre molti altri testi non sono mai stati scritti e forse non lo saranno mai. Il manoscritto che oggi ci interessa giunse alla conoscenza del mondo occidentale solo nel 1959 ed il suo contenuto apparve subito sconvolgente. Se ne occupò anche l’Accademia Sanscritista di Bangalore in alcuni lavori scientifici pubblicati in India (Scientific Opinion, Maggio 1974 pag. 5) ed a tutt’oggi manca un vero approccio scientifico del testo. Ma cosa c’è scritto di tanto inatteso in questo libro? La traduzione del testo sanscrito nel significato del suo titolo vuol dire alla lettera “Pratiche Aeronautiche” od “Astronautiche” e siccome le informazioni che il libro racconta dovrebbero risalire a circa cinquemila anni fa ci si deve chiedere cosa conoscessero gli antichi indiani di cose extraterrestri ben tremila anni prima della nascita di Cristo! La datazione delle idee espresse nel manoscritto è chiaramente improponibile visto che più che di un manoscritto si tratterebbe di tradizioni e conoscenze oralmente tramandate. Sembra anche che Pandit Subbaraya Sastry avesse anche delle facoltà “paranormali” che lo avessero in qualche modo aiutato a “ricordare” il contenuto del manoscritto. Tuttavia il testo ha come elemento principale, la descrizione del “vymaana” ovvero una macchina volante di cui si accenna ampiamente nel poema epico e storico indiano Ramayana che può essere propriamente datato (Il Ramayana, Ed. Fratelli Melita, 1988). Nel testo si descrive come sono costruiti i vymaana, come si devono pilotare, come si nutrono i piloti delle macchine volanti, quanti e quali tipi di vymaana ci sono, senza parlare della minuziosa descrizione di motori, radar, televisori, schermi difensivi ed armi micidiali e… chi più ne ha più ne metta.  Il tentativo di stabilire se quest’opera fosse nata dalla mente malata di un pazzo e quindi non credibile oppure veramente tramandata dalla antica cultura indiana è di fondamentale importanza per sapere correttamente valutarne il significato.
Il Vymaanika-Shaastra è un testo scientifico
Bisogna dire, a ragion del vero, che i pochi indiani che si sono interessati del problema erano poveri, sono poveri e, almeno per
quanto riguarda il Vymaana, non faranno mai quattrini. Da un punto di vista tecnico bisognava vedere se in quest’opera era presente qualcosa di assolutamente scientifico, assolutamente corretto, che qualsiasi Pandit indiano non avesse mai potuto leggere altrove: qualcosa insomma che dimostrasse che ciò che era stato scritto non era stato correttamente compreso ma doveva essere tecnicamente esatto, soprattutto alla luce delle nostre conoscenze. La scoperta di ciò avrebbe dato al testo la caratteristica di genuinità e di schiettezza e ne avrebbe sostenuto la sua origine. Una rara copia del testo, ormai praticamente inesistente, cadde sulla nostra scrivania, al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, alcuni mesi or sono, recuperata dal dottor Roberto Pinotti a Bangalore in India durante una missione di studio. Una prima lettura del manoscritto ci portava all’immediata conclusione che il Vymaanika-Shaastra non è un libro ma un manuale di istruzioni che non si abbandona mai all’aulico linguaggio del Ramayana ma parla di bulloni, manopole, radiazioni così come farebbe il manuale di istruzioni della Consolle di un Calcolatore Elettronico. In più risultò molto utile, nella comprensione del testo, il continuo accenno che l’autore fa ad altre fonti dell’epoca che descrivono, con altre parole gli stessi aspetti dei manufatti riportati, permettendoci di ricavarne degli utili confronti. La settima e l’ottava parte del libro parlano dei metalli e delle leghe metalliche che servono per costruire il vymaana e su questo particolare aspetto abbiamo posto la nostra attenzione. Ma prima di provare ad interpretare il testo, vediamone i passi salienti tradotti in italiano per sommi capi.  “Shounaka dice che ci sono tre tipi di metalli detti Somaka, Soundaalika e Mourthwika che, opportunamente miscelati, danno origine a sedici tipi di leghe che assorbono molto bene il calore. Manibhadra dice che i metalli che sono luminosi sono adatti per produrre aeroplani e questi metalli sono sedici. Saambara dice ancora che sedici metalli formati da leghe di metalli del gruppo Soma, Soundaala e Mourthwika non sono conduttori di calore e sono utili per costruire vymaana”. Il testo così continua: “Nel settimo strato (livello?) della terra, nella terza miniera (nella terza collocazione o nel terzo sottogruppo?) si trovano i metalli della serie Soma. Essi sono di trentotto tipi. Nel Lohatantra o Scienza dei Metalli viene detto anche che nella terza sezione del settimo livello della terra i metalli Soma possiedono cinque speciali qualità e sono detti beejalohas o metalli base”. (omissis) “Nel settimo livello i metalli sono di ventisette specie. Il terzo tipo di metalli sono detti metalli base ed hanno cinque qualità”. “Shounaka dice che ci sono tre tipi di metalli detti Somaka, Soundaalika e Mourthwika che, opportunamente miscelati, danno origine a sedici tipi di leghe che assorbono molto bene il calore. Manibhadra dice che i metalli che sono luminosi sono adatti per produrre aeroplani e questi metalli sono sedici. Saambara dice ancora che sedici metalli formati da leghe di metalli del gruppo Soma, Soundaala e Mourthwika non sono conduttori di calore e sono utili per costruire vymaana”. Il testo così continua: “Nel settimo strato (livello?) della terra, nella terza miniera (nella terza collocazione o nel terzo sottogruppo?) si trovano i metalli della serie Soma. Essi sono di 38 tipi. Nel Lohatantra o Scienza dei Metalli viene detto anche che nella terza sezione del settimo livello della terra i metalli Soma possiedono 5 speciali qualità e sono detti beejalohas o metalli base”. (omissis) “Nel settimo livello i metalli sono di 27 specie. Il terzo tipo di metalli sono detti metalli base ed hanno 5 qualità”. – Chiunque conosca le regole con cui gli elettroni si distribuiscono attorno ad un nucleo sceglierebbe più o meno lo stesso tipo di classificazione dettata da Mendelejev, anche un indiano di cinquemila anni fa. È infatti utile, sapere, per poter interpretare il Vymaanika-Shaastra, che ci sono proprio 7 livelli energetici distinti che possono essere occupati dagli elettroni (Sienko-Plain, Chimica Principi e Proprietà, Ed. Piccin). Che gli indiani conoscessero i 7 livelli energetici degli elettroni è più che evidente ed appare altresì probabile che conoscessero le regole con cui gli elettroni si dispongono nello spazio attorno al nucleo. Infatti noi conosciamo 8 modi possibili di sistemare gli elettroni attorno al nucleo di un atomo e per questo abbiamo diviso la tabella di Mendelejev in 8 gruppi. Ma ascoltiamo ancora cosa dice il Vymaanika-Shaastra: “La gravità del centro della terra, la gravità della terra globale, il flusso solare, la forza dell’aria
, la forza emanante dai pianeti e dalle stelle, le forze gravitazionali del Sole e
della Luna e le forze gravitazionali dell’Universo producono i livelli della terra nelle proporzioni 3, 8, 11, 5, 2, 6, 4, 9 e … causano l’origine dei metalli… “. Abbiamo riflettuto a lungo sul significato di queste parole e sul significato di questi numeri e sulla base di quanto già messo in evidenza sembra di poter tradurre il discorso come segue…  Tutte le forze e le interazioni dell’Universo, espresse da leggi fisiche ben precise, hanno formato i diversi metalli che si dividono in … guarda caso … otto tipi fondamentali descritti da otto numeri. Ciascun numero sembra descrivere la . configurazione elettronica del primo elemento di ciascun gruppo, il 3 è il litio, l’ 8 è l’ossigeno, il 5 è il boro, il 2 è l’elio, il 6 è il carbonio, il 4 è il berillio, il 9 è il fluoro mentre l’11 è il sodio ma al suo posto ci dovrebbe essere l’azoto (N = Nitrogeno)”. Quest’ultima è l’unica discrepanza che abbiamo trovato nella nostra chiave di lettura. Forse il numero 11 è stato mal ricordato e quindi mal riportato nel libro? In fondo dopo cinquemila anni ci si può anche permettere un errore. Sta di fatto che l’interpretazione chimica della tabella degli elementi degli indiani di cinquemila anni fa ha più che un solo legame con quella che noi oggi conosciamo ed usiamo e se la chiave di lettura da noi qui proposta è giusta si giunge all’agghiacciante conclusione che cinquemila anni fa, qualcuno conosceva molto bene la struttura dell’atomo e cioè le leggi che regolano l’Universo. In accordo col Vaimanika-Sastra , apparentemente scritto da Maharishi Bharadwaja nel IV sec. A.C. , ci sono 32 segreti nel pilotare un Vimana , essi includono : – MAANTRIKA : l’invocazione di mantra che permetterà ad uno di ottenere certi poteri spirituali ed ipnotici cosicché possa costruire veicoli volanti indistruttibili – TAANTRIKA : dall’acquisizione di qualcuno dei poteri tantrici , il pilota può nascondere il suo “aereo” – GOODHA : permette al pilota di rendere il suo Vimana invisibile ai nemici . Adrishya ottiene lo stesso risultato attraendo ‘la forza del flusso etereo nel cielo’. – PAROKSHA : esso mette in grado il pilota di paralizzare gli altri Vimana e di metterli fuori combattimento. – APAROKSHA : il pilota può servirsi di questa abilità per proiettare fasci lucenti dal fronte della sua nave per illuminare la sua via. – VIROOPA KARANA : con questa capacità al comando , il pilota può produrre un temporaneo fumo , può caricarlo con le calde onde del cielo e far assumere alla sua nave una forma terrificante che garantisce grandi fremiti in coloro che guardano . Roopaanara può permettere al Vimana di assumere forme come quelle del leone , della tigre , del serpente , di una montagna per confondere gli osservatori. – SUROOPA : se qualcuno può attrarre i 30 tipi di ‘forza Karaka’ , può far sembrare il Vimana ‘una damigella paradisiaca addobbata con fiori e gioielli’ . – PRALAYA : comprime la forza elettrica attraverso ‘i cinque tubi aerei’ cosicché il pilota possa ‘distruggere ogni cosa come in un cataclisma’ . Vimukna manda una pozione velenosa nell’aria per causare ‘uno stato di insensibilità totale e di coma’. – TAARA : questa capacità , una volta governata , fornisce al pilota un altro metodo per eludere il contatto col nemico o per nascondere i propri intendimenti agli osservatori : ‘Miscelando con la forza eterea 10 parti di forza aerea , 7 parti di forza acquea e 16 parti di capacità solare , e proiettandole dalle parti dello specchio stellato attraverso il tubo frontale del Vimana , l’apparizione di un cielo stellato è creata.’ – SAARPA-GAMANA : questo segreto permette al pilota di attrarre le forze dell’aria , unirle con i raggi solari e passare la mistura attraverso il centro della nave così che il Vimana avrà un movimento a zigzag come un serpente. – ROOPAAKARSHANA : permette al pilota di vedere dentro al Vimana nemico, mentre KRYAAGRAHANA permette ad uno di spiare ‘tutte le attività che avvengono al di sotto sulla terra.’ – JALADA ROOPA : le sue istruzioni permettono al pilota di sapere le corrette proporzioni di alcuni composti chimici che miglioreranno il Vimana e gli daranno la forma di una nuvola. – Avviso ai piloti dei pericoli
Gli Aavartaas o vortici aerei sono innumerevoli in molte regioni. Di questi, i vortici sulle rotte dei Vimana sono cinque. Nella regione
Rekhapathha ci sono vortici di vento. Nella regione Kakshyapathha ci sono vortici causati dai raggi solari. Nella regione di Shaktipathha ci sono vortici di correnti fredde. Infine nella regione di Kendrapathha ci sono vortici di collisione. Questi vortici distruggono i Vimana e devono essere temuti. Nel libro si dice che il pilota dovrebbe conoscere queste cinque fonti di allarme ed imparare a guardarsene per la sua stessa salvezza.” Nell’antica India coloro che registravano la conoscenza erano attenti ad osservare ogni forma di cambiamento, ogni movimento, ogni effetto visibile ed invisibile. Spesso parlavano in una maniera oltre i cinque sensi, anche con molti dettagli. Sembra che la loro scienza fosse più un’esperienza che una speculazione Da quando i Siddhis (poteri paranormali) sono principi naturali, è possibile che le macchine possano essere costruite per avvantaggiarsi di essi, e qualche Vimana potrebbe operare su questa base. Quindi, laghima-siddhi può essere usata per rendere priva di peso la nave, e mano-java può essere usata per muoverla attraverso l’etere. Altri veicoli potrebbero fare uso di metodi di propulsione meccanici ed elettromagnetici più familiari o potrebbero usare una combinazione di siddhis e principi familiari. Secondo gli antichi testi indiani , le persone volavano a bordo di veicoli chiamati “Vimana”. L’antica epica indiana descrive il Vimana come un veicolo volante a due piani ,circolare con oblò ed un ampio ponte . Esso volava alla ‘velocità del vento’ ed emanava un ‘melodioso suono’ . Vi erano almeno quattro tipi differenti di Vimana; avevano forme diverse , alcuni dei quali a forma cilindrica (‘navi a forma di sigaro’). I testi antichi indiani sui Vimana sono numerosi, ci vorrebbero volumi per riferire tutto quello che hanno da dire. Gli antichi indiani , che costruivano essi stessi queste navi , scrissero interi manuali di volo sul controllo dei vari tipi di Vimana , molti dei quali esistono ancora ed alcuni anche tradotti in inglese. Il Samara Sustradhara è un trattato scientifico concernente ogni possibile aspetto del volo aereo dei Vimana. Ci sono 230 stanze riguardanti la costruzione, il decollo, il viaggio per migliaia di miglia, atterraggi normali e d’emergenza ed anche le possibili collisioni con uccelli . Nel 1875, il Vaimanika-Satra (vedi più avanti), un testo del IV sec. A.C. scritto da Bharadvaj, usando come sua fonte testi ancora più antichi , venne riscoperto in un tempio in India. Esso riferiva le operazioni dei Vimana ed includeva informazioni sul controllo, precauzioni per lunghi viaggi, protezioni delle navi da tempeste e da lampi nonché come convertire il controllo dell’energia solare ad una sorgente di energia libera che suona come anti-gravità. Il Vaimanika-Satra ha otto capitoli con diagrammi, descrive tre tipi di veicoli includendo apparecchiature che non possono prendere fuoco o rompersi. Inoltre menziona 31 parti essenziali di questi veicoli e 16 materiali con cui possono essere costruiti che assorbono la luce ed il calore; per ciò sono desiderabili per la costruzione dei Vimana . Sembra che non ci siano dubbi che i Vimana fossero equipaggiati da una sorta di anti-gravità. I Vimana decollavano verticalmente ed erano in grado di fermarsi a mezz’aria come i moderni elicotteri e dirigibili. Bharadvajy riferisce di non meno 70 autorità e 10 esperti di volo aereo nell’antichità. Queste sorgenti sono oggi perse.

 


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La Navicella di Toprakkale


Una navicella lavorata in argilla e risalente a circa 3000 anni fa è stata rinvenuta nel 1973 durante uno scavo archeologico nella antica città di Tushpa, Turchia.
Tushpa è stata la seconda capitale del Regno Urartian un antico sito in Anatolia orientale. Tushpa, oggi chiamato Toprakkale, si trova a 5 km  a est di Van.
Vi si possono trovare i resti del Tempio del Dio Urartian Haldi (Khaldi), il dio supremo del cielo.

L’oggetto in questione è molto simile ad una navetta monoposto con propulsori a getto (cosa questa evidente dati i grossi ugelli di scarico posteriori) con alloggiato, al suo interno, un pilota con indosso una sorta di tuta all’apparenza flessibile. La figura del pilota, piegato nel suo scomparto, è parzialmente danneggiata (manca della testa), sono comunque ben visibili dei “tubi” (forse  un apparato respiratore) posti al di sotto del mento. Il museo di Istanbul, che conserva il reperto, non lo ha mai esposto al pubblico in quanto, ancora, la sua autenticità non è confermata. La notizia del ritrovamento del manufatto venne data dalla stampa di informazione slovena il 29 Novembre 1995. L’oggetto in questione ha una lunghezza di circa 22 cm, una larghezza di 7.5 cm ed un’altezza di 8 cm, è cuneiforme e l’estremità anteriore, acuminata ed affusolata, presenta un profondo solco.

Nonostanta la motivazione ufficiale della mancata esposizione  è molto più probabile, però, che la vera ragione sia dovuta all’imbarazzo ed al rifiuto degli archeologi ufficiali nell’ipotizzare una qualunque spiegazione sul reale significato del manufatto.

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