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Mobilitazioni popolari.Se il buongiorno si vede dal mattino!

Dissesto idrogeologico
Dissèsto idrogeològico Degradazione ambientale dovuta principalmente all’attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (rocce scarsamente coerenti), o intensamente denudati per la distruzione del ricoprimento boschivo. Può essere prevenuto con opere di imbrigliamento dei deflussi, di consolidamento dei terreni, di rimboschimento e di razionalizzazione delle pratiche agricole.
Fattori di rischio
Rientrano nell’ambito dei fenomeni che alterano, spesso in modo catastrofico, l’equilibrio geomorfologico dei territori, l’erosione idrica diffusa e profonda (frane), le alluvioni, l’erosione marina (arretramento dei litorali), la subsidenza indotta dalle attività antropiche, e le valanghe, ovvero tutti quei fenomeni per combattere gli effetti dei quali si richiedono interventi di difesa del suolo finalizzati alla previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell’ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi; la tendenza all’aumento degli eventi idrogeologici catastrofici, fatta registrare negli ultimi anni, si può mettere in relazione con pratiche di gestione del territorio che hanno privilegiato l’occupazione e lo sfruttamento indiscriminati del suolo, e solo marginalmente con mutazioni delle condizioni meteorologiche medie indotte da variazioni climatiche.
normativa sulla prevenzione
La normativa per la difesa del suolo ha subito alcune integrazioni, resesi necessarie per la mancata completa attuazione della l. 18 maggio 1989, n. 183, legge quadro in materia. Tale legge individuava nel piano di bacino idrografico lo strumento principale per la gestione del pericolo idrogeologico, demandandone l’elaborazione alle Autorità di bacino, per i bacini di rilievo nazionale, e alle Regioni, per i bacini minori. Tuttavia, palesi conflitti con altri enti competenti sul territorio e carenze tecniche hanno impedito alle Autorità di bacino di definire i suddetti piani e, nel corso del tempo, anche in ragione della l. 4 dic. 1993, n. 493, che aveva previsto una gradualità nella realizzazione degli stessi, si è proceduto attraverso un’impostazione per progetti formulati secondo aree omogenee o settori tematici (piani di stralcio). Gli atti giuridici per la definizione di questi strumenti di pianificazione sono quasi sempre intervenuti al seguito di catastrofi idrogeologiche: il d. l. 11 giugno 1998, n. 180, confermato dalla l. 3 ag. 1998, n. 267, e corredato per gli indirizzi di coordinamento dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 sett. 1998, è successivo all’evento calamitoso, causato da rovinose colate di fango, occorso in diversi territori del Salernitano, dell’Avellinese e del Casertano, noto con il nome del comune più colpito, Sarno; il d. l. 12 ott. 2000, n. 279, che stabilisce interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, segue i tragici eventi di esondazione, causati da intense precipitazioni, verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria. Le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e le Regioni per i restanti bacini sono vincolate ad adottare piani di stralcio per l’assetto idrogeologico contenenti, in partic., l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia. L’attività di pianificazione della lotta al d. i. ha comunque conseguito negli anni più recenti risultati significativi. Nel 1999, infatti, sono stati approvati alcuni importanti piani di stralcio (di bacino “Attività estrattive” e “Qualità delle acque” da parte dell’Autorità di bacino del fiume Arno, piani di stralcio “Assetto idrogeologico” per il fiume Po, “Riduzione del rischio idraulico” per il fiume Arno, “Difesa dalle alluvioni” e “Tutela ambientale della zona Le Mortine” per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno) e sono stati avviati 109 interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in aree che presentano complessivamente una popolazione altamente esposta di 130.000 persone. È stata inoltre predisposta dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, in collaborazione con il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali e l’ANPA, la prima analisi omogenea a livello nazionale del pericolo idrogeologico (livello di attenzione per il rischio idrogeologico definito in frazione di un indice calcolato a scala comunale), dalla quale sono risultati 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani). Per tale elaborazione gli estensori si sono avvalsi dei dati risultanti dall’attività degli enti preposti allo studio e alla gestione dei fenomeni associati al d. i.: GNDCI (Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche); Dipartimento della protezione civile; Servizio geologico nazionale; Servizio idrografico e mareografico nazionale. In partic., il GNDCI, nel contesto del progetto AVI (Aree vulnerate italiane), ha ultimato (1998) l’archivio digitale delle zone colpite da frane e inondazioni, provvedendo alla pubblicazione di una carta sinottica a scala 1:1.200.000, nella quale sono riportate oltre 15.000 località che hanno subito eventi catastrofici (9085 frane e 6456 inondazioni); sono stati completati gli studi di verifica del grado di efficacia dell’archivio riguardo alla valutazione e alla perimetrazione della pericolosità da frane e inondazioni. Inoltre, il Servizio geologico nazionale ha portato a termine nel 1999 la determinazione della “propensione al d.” dei territori comunali: partendo dalla carta della propensione al d. della litologia affiorante, dedotta dall’elaborazione sintetica georeferenziata dei dati AVI relativi ai fenomeni franosi sulla carta geologica alla scala 1:500.000, è stato calcolato, per ogni formazione geologica, un indice di franosità come rapporto tra il numero di frane occorse nella formazione stessa e l’area della sua superficie affiorante, in base al quale i terreni sono stati classificati ad alta, media o bassa propensione al d.; si è successivamente giunti alla carta della classificazione dei territori comunali in base alla propensione al d., calcolando, per ogni singolo comune, la percentuale di territorio ricadente nelle classi precedentemente definite.

Faccio notare al ministro Scaiola che stiamo parlando (solo) di pale eoliche e non di centrali nucleari.Ne vedremo delle belle.

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La nave con rifiuti radioattivi affondata a Cetrano

Alla luce della notizia riportata oggi dai giornali e dalle televisioni relativa alla fondatezza, con immagini e prove documentali,delle informazioni dei pentiti sull’affondamento di numerose navi cariche di rifiuti altamente pericolosi,si rafforza il mio rifiuto alla costruzione di centrali nucleari in Italia.Se verrà confermata la presenza di bidoni contenenti scorie radiottive sulle carrette del mare fatte inabissare con cariche esplosive dalle mafie vi lascio immaginare la gestione futura di tutti i rifiuti nucleari a chi finirà in mano.E provate a chiedervi se camorra e mafia sono favorevoli o contrarie al ritorno al nucleare.
Comunque attenderemo gli sviluppi futuri,restiamo svegli,e cerchiamo di mobilitarci.Se c’è una cosa che ci riguarda direttamente… è questa!

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Follia nucleare

Atto Senato n. 1195-B

Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia

G/1195-B/4/10

BUBBICO, ARMATO, FIORONI, GARRAFFAGRANAIOLA, PAOLO ROSSI, SANGALLI, SBARBATITOMASELLI

Il Senato,

premesso che,

l’articolo 25 del provvedimento in esame contiene un’ampia delega al Governo volta a reintrodurre il nucleare in Italia;

nell’elencazione dei princìpi e dei criteri direttivi con cui la delega deve essere esercitata, si prevede che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita siano considerate tutte attività di preminente interesse statale e, come tali, soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

inoltre, si prevede che i produttori di energia elettrica nucleare dovranno provvedere alla costituzione per il decommissioning che dovrebbe essere finalizzato a finanziare lo smantellamento degli impianti nucleari, il trattamento e lo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi;

considerato che,

la materia della produzione, del trasporto e della distribuzione nazionale dell’energia rientra tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione;

l’attuazione della delega implicherà la «chiamata in sussidiarietà» di parte delle funzioni amministrative concernenti il settore energetico, con l’attribuzione di rilevanti responsabilità ad organi statali e quindi con la parallela disciplina legislativa da parte dello Stato di settori che di norma dovrebbero essere di competenza regionale ai sensi del succitato terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione;

la Corte Costituzionale, con sentenza n. 383/2005, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni riguardanti il decreto legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica, ha stabilito una serie di principi tra i quali quello che riconosce che «( … ) il riordino dell’intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice, ma anche la nuova disciplina dei numerosi settori contermini di esclusiva competenza statale, appare caratterizzato, sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali, in quanto evidentemente ritenuti gli unici a cui naturalmente non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale.»;

il presupposto per rendere costituzionalmente ammissibile l’esercizio di questo meccanismo, che oggettivamente incide in modo significativo sull’ambito dei poteri regionali, è «la previsione di un’intesa in senso forte con le Regioni nel cui territorio l’opera dovrà essere realizzata»; infatti, la Corte afferma che «la predisposizione di un programma di grandi infrastrutture per le finalità indicate dalla disposizione impugnata implica necessariamente una forte compressione delle competenze regionali non soltanto nel settore energetico ma anche nella materia del governo del territorio, di talché, ( … ), è condizione imprescindibile per la legittimità costituzionale dell’attrazione in sussidiarietà a livello statale di tale funzione amministrativa, la previsione di un’intesa in senso forte con le Regioni nel cui territorio l’opera dovrà essere realizzata. (…). Ciò tanto più in riferimento ad una legislazione come quella oggetto del presente scrutinio, che spesso si riferisce alla dimensione «nazionale» (unilateralmente definita) di fenomeni od attrezzature, da cui sembra che spesso si vogliano escludere le Regioni, malgrado l’esplicito riferimento alla stessa dimensione «nazionale» che è contenuto nella denominazione della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Dovendosi quindi individuare un organo adeguatamente rappresentativo delle Regioni, ma anche degli enti locali, a loro volta titolari di molteplici funzioni amministrative senza dubbio condizionate od incise dalle diverse politiche del settore energetico, emerge come naturale organo di riferimento la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (…);

la procedura di adozione dei decreti legislativi attuativi di cui all’articolo 25, comma 1, del disegno di legge in esame prevede l’adozione di un semplice parere, in luogo dell’intesa, da parte della Conferenza Unificata e prevede al successivo comma 2, lettera f), l’esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con gli enti locali coinvolti, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione;

a tal proposito, la Corte Costituzionale, sempre con la sentenza n. 383/2005 ha stabilito che: «tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la «chiamata in sussidiarietà» di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese «in senso forte», ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell’intesa, la volontà della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l’unico attore di una fattispecie che, viceversa, non può strutturalmente ridursi all’esercizio di un potere unilaterale. L’esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente ispirare l’opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell’intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni.»;

impegna il Governo:

a coinvolgere pienamente le Regioni e gli enti locali interessati, in primo luogo nella fase di adozione dei decreti legislativi e, successivamente, ad esperire ogni tentativo per raggiungere le necessari intese, così come stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 383/2005.

Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno.(e soprattutto di che cosa stanno parlando).

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L’uranio non basterà!

Sperando,inutilmente,di essere ascoltato,voglio fare due considerazioni sulla disponibilità di uranio utile al funzionamento delle centrali nucleari.
I dati più affidabili da prendere in considerazione sono quelli della International Atomic Energy Agency(IAEA) e dicono che i giacimenti di uranio sono circa 10 milioni di tonnellate.Considerando che nel mondo sono in funzione 430 reattori (pochini vero?) e ognuno di questi brucia in media circa 60 mila tonnellate all’anno abbiamo un’autonomia di poco più di 160 anni,in pratica due generazioni.Se 60 mila tonnellate vi sembrano troppe,dovete valutare che le centrali nucleari funzionano con l’uranio-235, un isotopo abbastanza raro dell’uranio, che si trova in concentrazione dell’1% sul totale del minerale.Va detto inoltre che si estraggono 40 mila tonnellate all’anno,cioè molto meno di quello che si consuma.Poichè gli Stati Uniti sono spesso presi come modello,era giusto farlo anche per ciò che riguarda il nucleare:l’ultima centrale è stata costruita negli USA più di 10 anni fa,nel 1996.Che dite,forse un motivo,che certamente NON conosce Scaiola,ci sarà!
A seguire l’Intervista a Isabelle Chevalley, presidente e fondatrice di Ecologie libérale’, partito
svizzero di centro destra.

 “Manca l’uranio per l’energia nucleare”

 
“Fin dal 1991 non si estrae abbastanza uranio per soddisfare l’esigenza di tutte le centrali nucleari del mondo, l’estrazione è talmente diminuita che nel 2003 metà del fabbisogno del metallo grigio è stato fornito dalle scorte militari.”
Lo sostiene la dottoressa Isabelle Chevalley, chimica, nonchè presidente e fondatrice del partito svizzero ‘Ecologie libérale’. Analisi che arriva in un momento piuttosto delicato, soprattutto nel nostro paese, dove si è deciso un ritorno al nucleare.Come noto, l’uranio è il metallo che viene utilizzato nelle centrali nucleari per produrre energia elettrica. In natura si trova pressoché ovunque, compresa l’acqua, ma la parte dell’uranio che interessa alle centrali nucleari è una elaborazione (arricchimento) dello stesso per aumentare la concentrazione di 235U rispetto al 238U, due isotopi dell’uranio. Ed è su questo che si concentra l’analisi della dottoressa Chevalley.“Dal 2001 il prezzo dell’uranio è decuplicato, da 7 dollari la libbra a più di 75 nel 2007(in sette anni si è registrato un aumento del 1.000% e la libbra ha raggiunto alla fine del 2007 il prezzo record di 106 dollari). Questo massiccio aumento di prezzo riflette l’incertezza che circonda la sua produzione. L’altro picco storico risale alla fine degli anni ’70 quando la richiesta di questo metallo è aumentata sia a livello militare che civile raggiungendo i 43 dollari per una libbra.”


Sappiamo, però, che il mercato è estremamente volatile e bisogna passare ai fatti per capire davvero quanto uranio sia ancora disponibile.
“Attualmente, non solo non vengono più scoperti grossi giacimenti di uranio, ma i
giacimenti già scoperti non vengono pienamente sfruttati perché non conviene
economicamente. I costi sarebbero troppo elevati. Di conseguenza, la progressiva mancanza di uranio comincerà a farsi sentire tra il 2015 ed il 2025, quando le centrali nucleari produrranno meno energia fino a fermarsi del tutto.”Come accennato all’inizio, le centrali nucleari di oggi, che sono circa 450 nel mondo, funzionano grazie all’uranio estratto, ma anche in buona parte dalle riserve militari. E a sentir parlare la dott. Chevalley non ci sono molte speranze di trovare nuovi giacimenti, ma essendo un metallo presente pressoché ovunque, l’uranio è virtualmente estraibile anche da altre fonti, compresa l’acqua.
Nel mare, per esempio, sono disciolti ben 4 miliardi di tonnellate di uranio naturale, ovvero quanto basterebbe per rifornire le centrali nucleari attuali per 60.000 anni. Ma questo, purtroppo pare non risolvere il problema.(Oggi il consumo dell’Uranio ha superato la produzione (che raggiunge i 78.000 tonnellate di Ossido di Uranio – fonte: WNA), e i giacimenti esistenti si stanno esaurendo. Inoltre il 33% della produzione proviene dalle scorte militari e civili che dovrebbero diminuire del 70% entro il 2030, mentre l’estrazione crescerà solo del 20%. Le attuali riserve naturali sono di 4,75 MtU, sufficienti a coprire le esigenze per parco nucleare esistente per 70 anni, ma la World Nuclear Association (WNA) stima che la capacità nucleare installata potrebbe anche raddoppiare entro il 2030 e generare una domanda totale di uranio di 6 MtU). Questa situazione strutturale ha portato ad un aumento eccezionale delle riserve dal 2003, (salvo un’improvvisa riduzione delle transazioni spot nel primo quadrimestre del 2008) e prefigura nei prossimi anni ad una ripresa dell’attività di ricerca di nuovi giacimenti di Uranio.


“La centrale nucleare di Leibstadt in Svizzera utilizza ogni anno 155 tonnellate di uranio, il volume d’acqua di mare che servirebbe per estrarlo corrisponde a 52 miliardi di metri cubi, ovvero due terzi del lago di Ginevra. Per pompare una tale mole di acqua consumerebbe tutta l’energia ipoteticamente prodotta”.
Un altro esperimento è stato tentato dall’Agenzia Nucleare Giapponese: “In Giappone hanno immerso nel mare degli oggetti simili ad alghe lunghe cento metri prodotte con un materiale capace di attrarre l’uranio. Per rifornire la stessa centrale di Leibstadt di cui sopra, bisognerebbe sommergere seicento mila oggetti simili (in un’area pari a quella della Valle d’Aosta). Ogni due mesi li si dovrebbero raccogliere per passarli in un acido capace di recuperare l’uranio e quindi riportare questi oggetti in mare. Sarebbe un’opera ciclopica senza contare gli inconvenienti per la pesca e per la navigazione. Bisogna
quindi porre fine all’utopia che l’uranio ‘marino’ possa risolvere tutti i problemi di approvvigionamento”.Per la dottoressa Chevalley, aprire nuove centrali sarebbe un errore sia politico che economico.
“Uno studio francese ha dimostrato che investendo nelle energie rinnovabili e in
politiche di risparmio energetico, lo stesso importo necessario per la costruzione di una nuova centrale nucleare, circa 3 miliardi di euro, si arriverebbe a produrre il doppio di energia elettrica”.
I difensori delle centrali nucleari sostengono, però, che attraverso le fonti rinnovabili non si potrà mai ottenere la stessa quantità di energia prodotta, più facilmente, con il nucleare. Ma Isabelle Chevalley  non è d’accordo.
“Prendo l’esempio di un’azienda tedesca che produce pannelli solari termici ad alta temperatura Quest’azienda sostiene che coprendo con centrali ‘eliotermodinamiche’ solo l’uno per cento del deserto del Sahara l’energia prodotta basterebbe all’intero fabbisogno mondiale. Con questo non voglio che ci si debba concentrare su una sola fonte, ma il potenziale di tutte le fonti rinnovabili è davvero enorme e soprattutto bisogna smettere di dire che costa troppo Quante guerre sono state fatte al fine di garantire l’approvvigionamento energetico? Quante sono state le sovvenzioni al nucleare, al carbone
ed al petrolio? Le energie rinnovabili non sono solo ecologiche ma anche economiche”.
   

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Vorrei che il governo facesse due conti invece comprare centrali dai francesi.  

       COSTI ENERGIA NUCLEARE

Il costo variabile del nucleare appare a prima vista tra i più bassi (es. in Francia 0,015 € per chilowattora). Riprendendiamo una tabella comparativa del 2003 per rendere meglio l’idea:

  • 0,02 € centrali idroelettriche esistenti
  • 0,02 € carbone
  • 0,03 € nucleare
  • 0,04 € gas
  • 0,05 € biogas
  • 0,07 € geotermico
  • 0,07 € eolico
  • 0,07 € nuove centrali idroelettriche
  • 0,12 € celle a combustibile
  • 0,57 € fotovoltaico
    (dati costo medio KWora in euro)

Il costo variabile dell’energia nucleare può trarre in inganno poiché non include l’intera spesa che il pubblico deve sostenere per realizzare, gestire e infine smantellare una centrale nucleare. Analizzando complessivamente il sistema energetico, ovvero partendo dalla costruzione delle centrali sino anche alla complessa gestione dei rifiuti, si riscontra un notevole incremento nei costi sociali e una scarsa convenienza economica sociale. Questi i principali handicap:

  • Una centrale nucleare necessita un lungo periodo di tempo per essere costruita (in media 10 anni). In questo lungo periodo di tempo vanno poi aggiunti i costi oppurtunità, ossia le perdite “potenziali” pari al tasso di interesse perso se i fondi fossero stati depositati in banca o occupati in altre attività economiche.
  • Le centrali nucleari producono rifiuti radioattivi (scorie) la cui gestione è ancora un capitolo aperto per l’intero occidente. Soltanto gli Usa, dopo oltre 25 anni di studi, hanno realizzato una soluzione definitiva realizzando un deposito in profondità (geologico) in cui stoccare le scorie radioattive. Il deposito negli Usa sarà dedicato solo alle scorie di II grado mentre resta ancora incerto il destino delle scorie di III grado (ad alta radioattività) stoccate temporaneamente all’interno delle centrali nucleari.
  • Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare va considerato anche il costo del suo smantellamento, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive.Esempio. per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni ’60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Recentemente questa centrale ha terminato il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati allocati 635 milioni di dollari correnti.

    Soltanto per smantellare le quattro centrali nucleari italiane l’International Energy Agency ha stimato un costo pari a 2 miliardi di dollari.

In conclusione
Il nucleare è stato presentato come una fonte indispensabile per generare energia elettrica a basso costo. In realtà i suoi costi “nascosti” (sostenuti dallo Stato tramite tasse e imposte) sono ancora troppo alti se paragonati alle normali centrali termoelettriche (gas o carbone). Per individuare un quadro completo dei costi è necessario allargare la visione all’intero ciclo di produzione e non soffermarsi sui singoli aspetti. Solo in questo modo si riesce a comprendere il reale costo sociale che la società dovrà pagare per avere l’energia nucleare.

Va comunque considerato che l’antieconomicità del nucleare è soltanto un aspetto dell’analisi politica. Il ritorno al nucleare può essere giustificabile per ridurre la dipendenza delle economie occidentali dall’import di petrolio, gas e carbone. La capacità di una nazione di far fronte al proprio fabbisogno energetico interno rappresenta un obiettivo politico e strategico per difendere la propria economia nazionale dagli shock esterni. Soltanto in questi casi, e in questi termini, il ritorno al nucleare può essere considerato come una scelta razionale da intraprendere

Tratto da Ecoage.com

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Le centrali nucleari non emettono CO2". Vero. Ma falso.

Le centrali nucleari non emettono CO2". Vero. Ma falso.  
  In effetti nell’area delle centrali nucleari non si hanno gravi immissioni di CO2 in atmosfera. Ma cosa succede, prima? E cosa succede, dopo?
Il fatto è che tutt’intorno, dalla prima fase all’ultima, l’energia nucleare ha costi ambientali esorbitanti, naturalmente traducibili in termini di CO2. Questi sono i fattori.
– Le prospezioni geologiche.
– L’estrazione dell’uranio.
– Il processamento dell’uranio come combustibile.
– Il costo dello smaltimento delle scorie – problema terribile e irrisolvibile: in America milioni di tonnellate di scorie che rimarranno pericolose per 10.000 anni sono stipate nella Yucca Mountain, ma la questione ha causato gravi problemi sia amministrativi, che politici, che strutturali (l’amministrazione Bush nel 2004 ha surretiziamente modificato i già blandi limiti di sicurezza, avevamo seguito la questione).
– L’uranio non è inesauribile (ce n’è per 40 anni, solo con le attuali centrali).
– La valutazione dei costi dei possibili incidenti.
– Sembra impossibile districare i programmi nucleari civili da quelli bellici (caso Iran).
– La forma stessa della produzione energetica non va verso il modello di "rete" diffusa ma tende invece all’accentramento e pare quindi avere una direzione antistorica.

Sarà per questi motivi che nessuna merchant bank sostiene più costruzioni di nuove centrali; che recentemente Deutsche Bank e Unicredit si sono meritoriamente tirate indietro da controversi progetti internazionali; che nessuno Stato occidentale ha più in cantiere una centrale (tranne una in Scandinavia che però è in forse) e la Germania ha già varato un piano per chiuderle tutte entro il 2050.

Incidenti nuclari nel mondo negli ultimi anni

Sarà per questi motivi che pochi stati autoritari, che si contano sulle dita d’una mano, stanno mettendo in cantiere centrali nucleari, mentre in USA non se ne costruisce più una e in tutta Europa si punta solo su risparmio energetico e fonti rinnovabili?
Stefano Carnazzi

Effetti collaterali Chernobyl

 

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Scuole a Crotone costruite con rifiuti radioattivi.

Vivendo sui rifiuti tossici e radioattivi.                                                                                                                                                      Nel crotonese 70 mila m³ di materiale altamente tossico e radioattivo, pari a 350 mila tonnellate, miscelato con polveri provenienti dall’Ilva di Taranto e impastato col cemento, sono stati impiegati, come materiale edilizio, per la realizzazione dei cortili di tre scuole, di alloggi popolari, villette, centri commerciali, strade e perfino di una banchina portuale,uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità documenta un’incidenza di tumori della popolazione della zona superiore del 10% alla media nazionale.Secondo uno studio di Legambiente e WWF elaborato sul Programma di Monitoraggio delle Acque del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,  nel mare di Crotone nel 2003 erano presenti concentrazioni di metalli pesanti e di arsenico più di tre volte superiori ai valori limite.

Visto…semplicissimo!Tutti questi problemi per le scorie radioattive da smaltire.Il genio italiota ha partorito un’altra idea terribile nella sua stupida e ottusa criminalità.Costruiamo la città nuova con i rifiuti radioattivi ,magari muore qualcuno di tumore ma sono effetti, come si dice, collaterali.Al peggio non c’è mai fine.

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Rifiuti radioattivi a Castelmauro

Vi voglio far partecipi di una storia tutta italiana che di  per se non è molto sconvolgente…o almeno non più di altri avvenimenti simili,ma da un’idea su come gestiamo  situazioni potenzialmente pericolosissime per i cittadini.Se in un paese civile può accadere un fatto così incredibilmente e  colpevolmente delinquenziale senza che nessuno riesca a risolvere velocemente e radicalmente il problema per anni e anni,come si può pensare di gestire una centrale nucleare.La nostra classe dirigente è questa,a tutti i livelli.Tremate,anzi tremiamo!

L’articolo de La Stampa

In cantina una piccola Cernobyl

GIANNI LANNES
Benvenuti in Molise, in provincia di Campobasso, a un passo dal mare Adriatico, dove è conficcata una bomba a orologeria radioattiva. «La situazione di Castelmauro è grave – sottolinea l’ingegner Roberto Mezzanotte dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici – Parliamo di un impianto ben lontano dagli standard di sicurezza. Abbiamo segnalato il caso alle autorità competenti. Occorre un’urgente azione di rimozione dei rifiuti nucleari e bonifica dei luoghi».

Le fughe di radioattività dal deposito di scorie nucleari d’origine industriale e sanitaria del Centro applicazioni nucleari controlli e ricerche, minacciano la salubrità dell’intero Molise e delle regioni limitrofe (Abruzzo, Lazio, Puglia, Campania). I radioisotopi americio 241 e cobalto 60 sprigionano radiazioni alfa e gamma. L’ultima verifica radiometrica parla chiaro: «E’ stato riscontrato il superamento dei limiti previsti dalla legge» scrive ai ministeri dell’Interno e dell’Ambiente il professor Bernardo De Berardinis, direttore dell’ufficio Pianificazione, Valutazione e Prevenzione dei rischi presso la Protezione civile.

Il Canrc – sede e laboratorio a Termoli – ha gestito dal 19 dicembre 1979, con il nulla osta del medico provinciale Ermanno Sabatini, un magazzino radioattivo. La «Cernobyl fai da te» è ubicata in uno scantinato di un’antica abitazione in via Palazzo al civico 6, nei pressi della cattedrale e del municipio. Il territorio, oltretutto, è soggetto a rischio sismico e idrogeologico. Con l’Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri (3274/2003) il borgo è stato dichiarato a «sismicità medio-alta» e incluso nella zona 2. Per i danni inflitti dal sisma del 31 ottobre 2002 il paese ha registrato danni per 83 milioni di euro. Eppure, nonostante siano già stati spesi ben 550 milioni per una ricostruzione fantasma, il governatore Iorio si è dimenticato di bonificare il deposito illegale di rifiuti nucleari, o, quantomeno, di verificare le condizioni statiche dell’antico edificio che lo ospita.

Spiega il sindaco Giuseppe Mancini (An), ingegnere di professione. «Di case lesionate ce ne sono – risponde laconico il primo cittadino – Ma non so se il palazzo dei De Notariis è stato controllato». Potrebbe aver subito lesioni strutturali, aggravate dall’alluvione del 2003, ma nessuno l’ha ancora verificato. Il proprietario della cantina nucleare, Quintino De Notariis, deceduto recentemente a Cuba per aneurisma, non ha mai sanato la situazione. A distanza di anni, il tecnico non ha mai osservato le numerose ingiunzioni di sgombero e bonifica dei luoghi. Atti imposti dalla magistratura (sentenza n. 1428/2000 del tribunale di Campobasso) dal Tar Molise (sentenza n. 435/2002) e attraverso un decreto ingiuntivo siglato dal presidente della giunta regionale (provvedimento n. 151 del 18 ottobre 2002).

L’avvocato Giovanni De Notariis, fratello del responsabile risponde sprezzante: «E’ lo Stato che deve farsi carico di questa situazione. Noi non siamo responsabili e non dobbiamo fornire spiegazioni a nessuno; tantomeno ai giornalisti». I riscontri sono evidenti: da duemila bidoni tossici e radioattivi da 50 litri cadauno, stipati alla rinfusa nell’abitazione dei fratelli De Notariis, fluisce da un buon ventennio, radioattività al di sopra della norma consentita. L’Arpa Molise ha evidenziato che dagli ultimi accertamenti effettuati «è stato riscontrato un campo di radiazione, tale da risultare superiore al limite previsto dalla normativa vigente in relazione all’esposizione massima ammissibile per la popolazione (1mSV/anno)».

Anche i Vigili del Fuoco hanno rilevato valori di intensità di esposizione superiore di gran lunga a quelli del fondo naturale. In una nota sottoscritta dal dottor Claudio Cristofaro (responsabile del settore fisico dell’Arpa) e dal dottor Luigi Petracca (direttore generale) «i valori registrati rappresentano un ulteriore campanello d’allarme, che dovrebbe indurre ad adottare misure definitive per il totale smantellamento del deposito di Castelmauro, che si appalesa del tutto incompatibile con il contesto urbano e con il tessuto abitativo in cui risulta ubicato già dai primi anni Ottanta».

I contenitori metallici corrosi dall’umidità perdono lentamente il contenuto: lo attestano le quindicinali verifiche dell’Apat. Ora, addirittura, è possibile fotografare i famigerati fusti azzurrognoli da una finestrella munita di una grata rosicchiata dai ratti. Un terrorista potrebbe innescare un’ecatombe. Due malandate porte di legno ed una metallica, custodiscono il magazzino nucleare. Non esiste un piano di sicurezza: un cataclisma, un incendio o addirittura la caduta di un velivolo avrebbero conseguenze disastrose. Neppure un cartello segnala il pericolo. «La quantità di radiazioni assorbita dagli esseri viventi viene misurata in sievert. Nell’essere umano, una dose di 4 sievert distribuita su tutto il corpo, pari a 40 mila radiografie, causa la morte nel 50 per cento dei casi» avverte Maurizio Cumo, ordinario di impianti nucleari all’università La Sapienza di Roma. «Nella considerazione che sia necessaria l’adozione di immediate misure finalizzate alla messa in sicurezza di materiali radioattivi presenti nel sito sopraindicato, appare indispensabile assumere iniziative di carattere straordinario, che assicurino la salvaguardia della zona» annota il 3 aprile 2006, Paolo Togni, capo di gabinetto del ministero ambientale. Diciotto giorni dopo (protocollo DPC/CG/24300), Guido Bertolaso si rivolge alla Regione: «Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio ha evidenziato la necessità di adottare misure per la messa in sicurezza del materiale radioattivo presente nel territorio del Comune di Castelmauro: si invita codesta amministrazione regionale a comunicare ogni dettagliato elemento utile per valutare compiutamente la vicenda».

Parole al vento. L’8 ottobre 1987 la Direzione della sicurezza nucleare dell’Enea evidenziava che nel deposito di rifiuti «erano accatastati in maniera incontrollabile circa 4 mila fusti privi delle dovute indicazioni» e denunciava il titolare del deposito, Quintino De Notariis «per aver gestito nell’abitato di Castelmauro un deposito di rifiuti radioattivi provenienti da attività industriali, mediche e di ricerca scientifica (…) illegittimo per mancata precisazione dei limiti quantitativi e per aver effettuato trasporti di rifiuti radioattivi senza essere in possesso dell’autorizzazione interministeriale».

Cronistoria di un paradosso
Tutte le tappe del deposito radioattivo di via Palazzo n. 6 a Castelmauro

Castelmauro. La storia, ufficialmente, comincia il 19 dicembre 1979, quando il fisico nucleare Quintino De Notaris ottiene il nulla osta provvisorio dal medico provinciale di Campobasso Ermanno Sabatini alla detenzione di sostanze radioattive sulla base della normativa speciale del D.P.R. n. 185/64.

Il primo sopralluogo viene effettuato il 2 febbraio 1984 dal fisico nucleare Fortunato Pinelli, che non rileva violazioni alle misure di sicurezza.

L’anno successivo, e precisamente il 2 luglio 1985, i Vigili del Fuoco durante una ispezione registrano il superamento dei limiti di radioattività, ma escludono rischi di contaminazione immediata.

Il 25 marzo 1987 c’è la prima interrogazione parlamentare al Ministro della Sanità.
Tra il 24 e il 26 giugno 1987 l’ispettore dell’Enea Ciro Candela effettua un sopralluogo sia allo studio termolese Canrc sia nel deposito di castelmauro e riscontra diverse irregolarità sia nei sistemi di sicurezza che nel modus operandi del dottor De Notariis.

Il 24 aprile del 1989 il Pretore di Civitacampomarano dichiara il non luogo a procedere a carico di De Notariis.

Il 15 marzo 1995 il sindaco di Castelmauro Giovanni De Notariis emana un’ordinanza per l’allontanamento immediato del deposito. Successivamente perde le elezioni e difende il fratello nel ricorso contro la sua ordinanza. Il Comune di Castelmauro, rappresentato dal sindaco Tommaso Manes Gravina, si costituisce parte civile nel procedimento penale. Il fisico fa ricorso contro l’ordinanza, ma il suo ricorso viene ritenuto inammissibile.
Il 24 novembre 2000 il Tribunale di Campobasso proscioglie De Notariis dai reati che gli venivano contestati per prescrizione dei termini.

Il 4 giugno 2002 l’Arpa Molise rileva un campo di radiazione esterna superiore al fondo naturale

Il 18 ottobre 2002 il Presidente della Giunta regionale Michele Iorio emana un decreto (n. 151) che ingiunge a De Notariis di smaltire tutti i rifiuti tossico-nocivi o pericolosi.

Il 27 febbraio 2003 c’è una seconda interrogazione parlamentare ai ministeri dell’Interno e dell’Ambiente.

Il 27 novembre 2007 Quintino De Notariis muore a Cuba per aneurisma cerebrale. I parenti, fino al sesto grado, rinunciano all’eredità.

Il 1° agosto 2008 Giovanni De Notariis, dopo aver rinunciato all’eredità, presenta denuncia al Consiglio dei Ministri per chiedere la bonifica del deposito a spese dello Stato.

Il 24 settembre 2008 il presidente della Regione Molise Michele Iorio incontra il Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso per discutere la questione relativa a Castelmauro.

Il 30 settembre 2008 si svolge l’ultimo sopralluogo tecnico per misurare la radiofrequenza esterna: le sorgenti sono ancora attive

Il 9 ottobre 2008 c’è una nuova interrogazione parlamentare sulla vicenda.

 

Capito!…Queste sono le mani in cui siamo.Castelmauro 2000 fusti e 2000 abitanti.30 anni di prese di culo.Per inciso ,alcuni fusti sono vuoti e nessuno sa dove è finito il contenuto.

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Treno carico di scorie nucleari bloccato in germania con incidenti.

Germania: scontri per passaggio treno con scorie nucleari
09 nov 23:34 Esteri
BERLINO – "Battaglia" ecologista in Germania lungo il percorso di un treno carico di 23 tonnellate di scorie nucleari che dalla Francia sta raggiungendo il centro di stoaccaggio di Gorleben, nella Germania settentrionale. Gli scontri coinvolgono 15mila ecologisti e 16mila poliziotti. (Agr)
Fonte CORRIRE DELLA SERA
Nonostante i bivacchi degli ecologisti e con 14 ore di ritardo sulla tabella di marcia prevista, il treno dei rifiuti nucleari è arrivato a destinazione in Germania. A bordo 11 contenitori vetrificati di scorie provenienti da centrali francesi, destinati al centro di stoccaggio di Gorleben.
L’avanzata del convoglio speciale era stata ostacolata da migliaia di manifestanti ecologisti. Alcuni di loro, sabato scorso, incastrando le braccia in un blocco di cemento collocato sui binari, alla frontiera francotedesca, hanno bloccato il treno per più di 12 ore.
Partito venerdì scorso da La Hague, in Francia, il treno speciale, con 123 tonnellate di scorie nucleari tedesche ritrattate, avrebbe dovuto raggiungere in due giorni la stazione di Dannenberg.
Per proteggere il convoglio nucleare sono stati impiegati 16.000 agenti, diecimila dei quali nella sola regione di destinazione. Secondo fonti ufficiali, negli scontri tra manifestanti e polizia, si contano “numerosi feriti”, da entrambe le parti
Fonte EURONEWS

Spero che Scaiola e i fautori del ritorno al nucleare si preparino,perchè finirà il quieto vivere.Quando anche da noi cominceranno a viaggiare le scorie radiottive in lungo e in largo per le linee ferroviarie italiane (sic.),si risveglieranno la coscienze e ,anche se sarà ormai troppo tardi,ricomincerà la lotta contro il nucleare.

Ma noi attuiamo il processo inverso!

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Nucleare…ci siamo! Stanno preparando il terreno.

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Alla Camera il primo sì per il ritorno al nucleare
Fonte Marco Sodano – La Stampa
L’energia nucleare italiana s’è rimessa in moto ieri – a 21 anni dal referendum che bandì l’atomo – con il primo sì pronunciato dalla Camera. Montecitorio ha approvato il disegno di legge sullo sviluppo collegato alla manovra, il quale contiene il «pacchetto energia» il quale – a sua volta – contiene la delega che statuisce la nascita dell’Agenzia per la sicurezza del nucleare.
L’Agenzia non era prevista nel testo originario del provvedimento, è stata inserita nel provvedimento dalla Commissione attività produttive e successivamente limata in aula. La discussione è stata accesa: diversi articoli sono passati con l’astensione dell’opposizione, e il provvedimento è passato dopo un braccio di ferro tra i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Nel dettaglio, il governo si dà più tempo – fino a giugno 2009 e non più fino a dicembre – per attuare la delega. I territori su cui dovranno sorgere le centrali saranno “militarizzati” e potranno essere addirittura commissariati se non si trova l’accordo con le popolazioni.

L’Agenzia per lo sviluppo del nucleare risponderà direttamente alla presidenza del consiglio ma l’ultima parola sulla nomina dei componenti sarà del Presidente della repubblica, grazie a un emendamento approvato in assemblea. È invece tramontata invece l’ipotesi – che peraltro non è mai stata formalizzata da Palazzo Chigi – di procedere alla revisione dei compiti e dei criteri di nomina dell’autorità per l’energia, con conseguente azzeramento dei vertici, anche se il tema potrebbe tornare in auge durante la discussione al Senato.

Le centrali per l’energia elettrica, continua il ddl, potranno essere costruite direttamente dall’amministrazione o date in concessione e locazione e realizzate in siti militari, infrastrutture e beni del demanio militare, altra novità introdotta su input del governo durante l’esame in assemblea. La Sogin – la società che si occupa dello smantellamento dei siti nucleari fermati dopo il referendum del 1987 – sarà commissariata, in vista di una privatizzazione con il conferimento di beni o rami di azienda ad altre società, purché partecipate dallo stato in misura non inferiore al 20% e operanti nel settore energetico. Anche l’Enea (ente per le nuove tecnologie l’energia e l’ambiente), con una modifica proposta dalla Lega, sarà azzerata: manterrà il nome.

Nel nucleare all’italiana avrà una parte anche la Cassa Depositi e Prestiti: le sarà permesso prendere parte – ma con una quota minoritaria – a consorzi per lo sviluppo e l’utilizzo di impianti per la produzione di energia nucleare. Ai consorzi potranno partecipare società produttrici di energia elettrica e soggetti industriali «energivori».

Infine, passa al ministero per lo Sviluppo economico la competenza sulle tariffe energetiche. In aula è stato precisato che l’aggiornamento annuale del costo evitato di combustibile dovrà riflettersi in una «riduzione dell’ammontare della relativa voce tariffaria a carico degli utenti».

“La Stampa”

INSISTO:MA IL REFERENDUM QUANDO E’ STATO SUPERATO O ANNULLATO ? SIAMO TUTTI D’ACCORDO ? NON C’E’ NESSUN DIBATTITO A LIVELLO NAZIONALE ? ASPETTIAMO CHE COMINCINO A COSTRUIRE LE CENTRALI DAVANTI A CASA TUA PER PROTESTARE ?E I VERDI DOVE SONO?Image and video hosting by TinyPic

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