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Glozel

La vicenda di Glozel,cittadina a circa venti chilometri a sud-est di Vichy, nei pressi della D495 Cusset / Ferrieres-on-Sichon e situato tra le montagne del Bourbonnais,è molto lontana nel tempo,troppo lontana.Le testimonianze,la prove,le osservazioni dirette,sono diluite dagli anni trascorsi,perse nei meandri delle discussioni accademiche,inquinate dalle accuse di falsità e dalle invidie covate tra i vari personaggi della storia.In effetti il ritrovamento in questione avrebbe potuto (e dovuto)spazzare via il mondo della preistoria come siamo abituati a considerarlo, forse sarebbe dovuta essere la chiave che apre la porta al mistero delle origini del mondo o almeno le origini della nostra civiltà e la migrazione dei popoli.Era il 1 marzo 1924 ed Emile Fradin, diciassette anni, stava aiutando suo nonno, nella loro fattoria a Glozel,ad arare i campi con i buoi a tirare l’aratro.Improvvisamente,una delle due bestie sprofonda in una cavità che si crea con il franare del terreno.Viene alla luce,così,una specie di pozzo, rivestito di mattoni, alcuni dei quali come vetrificati da un calore intenso.La camera era piena di scaffali e nicchie contenenti molti oggetti antichi ed insoliti. C’erano parecchie ossa intagliate, una serie di corna, quelle che sembravano essere statuette di divinità primitive – simili alle’Venus’ dell’età della pietra in avanzato stato di gravidanza – e,cosa più intrigante di tutte, c’erano alcune tavolette di argilla coperte da un alfabeto sconosciuto.

Il dottor Albert Morlet, un medico nella vicina Vichy, sentì parlare dell’insolita scoperta del giovane Fradin. Morlet era vivamente interessato all’ archeologia e all’antropologia e andò perciò a visitare la fattoria Fradin il 26 aprile 1925. Fu come colpito da quello che vide e capì immediatamente quello che questa scoperta avrebbe significato per il mondo scientifico, cosicchè fece un accordo con Fradin. Secondo i termini di questo accordo, i manufatti sarebbero stati degli scopritori, ma Morlet avrebbe avuto i diritti esclusivi per la pubblicazione e la riproduzione di tutte le informazioni scientifiche associato al sito.


Il dottor Capitan, un esperto ed eminente archeologo (almeno a suo parere personale), si trova coinvolto nel misterioso ritrovamento. Dopo aver visitato il sito di Glozel scrisse con entusiasmo a Morlet: “Hai un meraviglioso ritrovameno là.Vi prego di scrivermi una relazione dettagliata delle vostre scoperte in modo che possa trasmetterla alla Commissione per i monumenti storici ” Morlet vide,però, questa richiesta sotto un’altra luce : Capitan avrebbe ottenuto la maggior parte del credito, mentre Morlet aveva fatto la maggior parte del lavoro. Morlet e le Fradin avevano altri piani, infatti dettero alle stampe un libretto dal titolo: Nouvelle Stazione Néolithique (un nuovo sito Neolitico).Purtroppo, la natura umana pone spesso formidabili ostacoli psicologici nel cammino della verità oggettiva. Sarebbe un eufemismo perciò dire che il dottor Capitan era furioso con Morlet e le Fradin colpevoli di aver snobbato la sua grande fama. La rabbia si trasformò in azione, e lo studioso non trovò nulla di meglio da fare che contestare l’autenticità del loro sito e dei suoi contenuti,arrivando ad accusare il Fradin di aver creato degli oggetti con le proprie mani!


A questi punto l’escalation della polemica era innescata;il professor Salomon Reinach di St Germain-en-Laye si disse favorevolmente impressionato dai reperti di Glozel, anche perchè confermavano la sua ipotesi che la civiltà aveva avuto origine nel bacino del Mediterraneo piuttosto che altrove. Era una teoria vagamente patriottica e molto popolare in Francia all’epoca. Lo storico Camille Jullian Morlet e si schierò con i Fradin.La controversia si approfondì quando Edmond Bayle, uno scienziato forense, pensava di aver rilevato frammenti di quello che avrebbe potuto essere erba in alcune tavolette d’argilla di Glozel. Ha espresso il suo voto contro la loro autenticità – dimenticando, forse, che un fogliame simile era stato ritrovato nei resti di mammut siberiani. Hunter Charles Rogers – con la fama di essere un noto falsario di reliquie – ha sostenuto che era stato responsabile di alcuni dei manufatti Glozel, ma poca o nessuna attenzione è stata rivolta alla sua testimonianza.


Depéret, Preside della Facoltà di Lione, di Geologia e Associate Vice President della Società Geologica di Francia ha scritto: “Non può rimanere nella mente alcun dubbio sulla genuinità geologica del posto e dei preziosi oggetti ritrovati.In questo senso la nostra dichiarazione più formale (…) Il sito di Glozel è un cimitero risalente al Neolitico estremamemte antico. (…) La presenza indiscutibile, anche se probabilmente molto rara, di una renna , in aggiunta ad altre reminiscenze degli strumenti da ricondurre ai magdaleniani mi porta ad ammettere che il deposito è vicino al Paleolitico Finale, al quale si possono rapportare sia la forma degli strumenti che le tavolette scritte. “
Joseph Loth (1847 – 1934), professore al Collège de France dal 1910, archeologo ed esperto della storia e della lingua celtica, consiglia ad Emile Fradin di installare un piccolo museo e questa è la prova che egli crede nella autenticità e l’importanza di quanto è stato scoperto nel sito.La negligenza ufficiale è caduta sul sito di Glozel, il suo inventore, che oggi ha 86 anni, e le conclusioni che si dovevano disegnare. Rimane solo l’interesse e la passione di alcuni appassionati di archeologia che pretendono la verità.
E’ tempo di riconsiderare il’ caso Glozel ‘. Gli scavi che sono stati fatti dopo l’incidente del 1 ° marzo 1924, ufficiali o meno, rivelano, con precisione, dati che sconvolsero le certezze espresse troppo spesso senza alcun senso di oggettività. Ecco, brevemente riassunte, le cause dell’anatema su Glozel e il suo inventore, che hanno poi innescato la legge del silenzio:
– La renna non doveva vivere sul territorio francese nel Neolitico, con il ritiro dei ghiacciai, sarebbe dovuta essere di nuovo al Nord.
– La scrittura in forma alfabetica, nel Paleolitico ,non esisteva ancora.
– I segni stabiliti in ordine alfabetico sono venuti dal Medio Oriente, e sono datati nel Neolitico.
Tuttavia, a Glozel, i reperti sono stati trovati nella stessa porzione di terra e, secondo alcuni protagonisti della scienza del tempo, non potevano coesistere. Erano incise su una pietra una renna e una serie di segni che assomigliano a un alfabeto.Non si capisce se gli animali incisi su vari supporti fosse stata a scopo evocativo, votivo, sciamanico, oppure se era arte per l’arte?


Nessuno, finora, è in grado di datare questo insieme con coerenza. Il carbonio-14, nonché la termoluminescenza non mettono d’accordo sulle date. Nel 1972, i tecnici della Commissione per l’energia atomica hanno analizzato gli oggetti : le tavolette risalgono dal 700 aC al 100 dC, ma alcuni oggetti d’osso risalgono al 17.000 aC . ! 17 mila anni di distanza, dal Paleolitico superiore alle guerre galliche nella stessa fossa archeologica.
L’unica certezza è che non fu una bufala, e Emile Fradin, scopritore del sito, non è stato certo un falsario.
Ciò che non è stato spesso menzionato è la dimensione delle mani che hanno modellato l’argilla. Quando si premere la mano nell’argilla malleabile, allarghiamo l’impronta della mano stessa, ma ,a essiccazione avvenuta, l’impronta mantiene una dimensione prossima a quella dell’originale. Tuttavia, a Glozel, le mani sono grandi, molto grandi, pur restando proporzionate. Esse superano gli standard di un uomo del ventesimo secolo.
Lo stesso vale per lo spessore delle ossa del cranio trovato: lo spessore è doppio rispetto a quello di un uomo d’oggi. Come il cranio, che è di un volume superiore alla media dei nostri crani stessi. Possiamo parlare di giganti o semplicemente una tribù di uomini molto alti,venuti da chissà dove,e che sarebbe finita lì, isolata, dopo un esodo di misterioso?


Ciò che rappresentano le incisioni e la loro formazione tecnica, corrispondono, anche se il disegno è molto irregolare, a quello che si sa circa il Paleolitico. Alcuni disegni assomigliano a quanto è stato fatto nella penisola iberica, il Marocco e le Canarie, così come intorno al bacino del Sahara . Tutto questo cosa significa?

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Efeso

Efeso è una delle città antiche che si sono conservate meglio, città di marmo bianco scintillante sotto il sole è come un immenso libro di pietra. Gli scavi archeologici, cominciati nel 1869, hanno permesso di ritrovare la maggior parte delle sue strade e dei suoi edifici (municipio, abitazioni, negozi, latrine pubbliche). Non c’è bisogno di essere un archeologo esperto per apprezzare le bellezze di Efeso: questo luogo magico affascina anche i neofiti.  

                                                                                                                                                                                                      Era una città sul mare che adesso vediamo in lontananza,poichè la costa è arretrata di alcuni chilometri.La vita quotidiana dei greci e dei romani è visibile in tutte le sue forme;c’è addirittura una targa marmorea relativa ad una casa di piacere con tariffe e raccomandazioni.                                                                                                                                          

Veramente notevoli sono la biblioteca ed il teatro e camminare nella via centrale di Efeso, circondati da vestigia quasi intatte, è una esperienza impagabile.

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Gli Olmechi

Una delle prime società mesoamericane, gli Olmechi abitavano le pianure tropicali del centro-sud del Messico. I primi segni della cultura olmeca appaiono intorno al 1400 aC nella città di San Lorenzo, il principale insediamento olmeco, insieme a Tenochtitlan e Potrero Nuevo. Il Olmechi erano maestri costruttori, infatti in ciascuno dei principali siti sono stati trovati edifici cerimoniali, case a tumulo, grandi piramidi coniche e giganteschi monumenti in pietra, tra cui una testa colossale, manufatti che sono i più conosciuti. La civiltà olmeca fece molto affidamento sul commercio, sia tra le diverse regioni Olmeche e con altre società mesoamericane.

Del primo periodo (civiltà di La Venta) restano ceramiche dipinte, e teste umane scolpite. Nel centro religioso di La Venta sono state rinvenute gigantesche sculture dagli arti assai corti e dai volti enormi. Più tardi gli Olmechi divennero costruttori, fondando anche la grande città-santuario di Monte Albán. Opere olmeche (sculture monumentali, templi a piramide, ceramiche ornate di animali stilizzati, oreficerie, ecc.) si diffusero allora anche all’interno del Messico esercitando una duratura influenza sulle civiltà zapoteca e tolteca. La civiltà Olmeca è la cultura-madre di tutte le popolazioni mesoamericane, non soltanto perché l’arte, i culti e i centri cerimoniali hanno costituito un modello al quale si sono ispirate tutte le future generazioni, ma perché olmeca era un modo di sentire e di agire, era un’ideologia prevalentemente pacifica che venne condivisa da tutte le civiltà che erano entrate in contatto con quel mondo. Oltre alla scultura, grande maestria si rileva anche nella lavorazione di materiali preziosi, come giada e ossidiana.

Gli Olmechi attribuivano grande importanza al culto del giaguaro, rappresentato nelle più svariate forme.
Intorno al 400 aC la metà orientale delle terre del Olmec si è spopolata, una delle cause può essere stata il cambiamento del clima; altra teoria riguarda l’abbandono dei territori dopo una forte attività vulcanica nella zona,mentre altri studiosi spiegano la sparizione degli Olmechi con una invasione non meglio identificata.
La maggior parte delle opere olmeche si trova nei Musei Archeologici di Città del Messico e di Jalapa, mentre a Villahermosa, nello Stato di Veracruz, è stato allestito negli anni Cinquanta un grande parco archeologico tra il verde di una foresta tropicale che raccoglie la statuaria di La Venta, un tempo capitale degli Olmechi e ora inghiottita dagli stabilimenti dell’industria petrolifera che ha risparmiato soltanto una piccola porzione dell’originaria area archeologica.

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Popoli Italici.

Breve storia delle “Stirpi Italiche”.
 Il territorio occupato attualmente dall’Italia sembra che sia stato sempre abitato, sin dal paleolitico. Per trovare delle tracce più o meno certe dei suoi abitanti, dobbiamo però aspettare il neolitico superiore.Quello che è certo è che mentre nel Vicino Oriente fiorivano, nel IV millennio a.C., le prime grandi civiltà della storia, il territorio, che molto più tardi doveva chiamarsi Italia, era ancora immerso nella più profonda preistoria ed i suoi abitanti erano ancora allo stato selvaggio.
Le prime popolazioni indigene pare siano state i Liguri*, a nord-ovest, ed i Sicani e i Sardi nelle isole. Due popolazioni non indoeuropee, che vivevano ancora di raccolta e caccia ,abitavano nelle caverne o in capanne di forma rotonda fatte di sterco e di fango. Seppellivano i loro morti e non conoscevano l’agricoltura, nè i metalli. Dai ritrovamenti si evince che solo i Sicani conoscevano il rame.
Verso la metà del secondo millennio a.C., in Italia si riversa una popolazione indoeuropea proveniente dal centro Europa. Questa popolazione non è  più progredita di quelle indigene, ma conosce l’agricoltura e l’allevamento del bestiame ed è in grado di lavorare il bronzo.
I nuovi venuti costruiscono le loro dimore su lunghi pali conficcati nell’acqua:le palafitte. Questa pratica fu importata dalle loro terre d’origine ed aveva un duplice scopo:rappresentare una difesa contro le bestie feroci e contro gli attacchi di possibili nemici.
Costruiscono i loro villaggi in prossimità dei laghi di Garda, di Como e  Maggiore. Da queste prime regioni  si spinsero, in un secondo tempo, più a sud. Per i loro nuovi insediamenti preferirono la terraferma, ma conservarono l’uso di costruire le loro abitazioni su palafitte, conosciute come terramare. Sempre per ragioni difensive, circondavano i loro villaggi con cumuli di fango e terra battuta, una pratica che più tardi troveremo anche presso i Romani.
Intorno al XII secolo a.C. una nuova popolazione indoeuropea si riversa in Italia dal bacino danubiano. I nuovi venuti avevano l’abitudine di cremare i loro morti e di deporre le ceneri in urne di terracotta (urne funerarie)ed anche questa usanza verrà assorbita dai Romani.
Verso il mille a.C.  appresero il metodo di lavorazione del ferro e costruirono, nei pressi dell’attuale Bologna, la prima città conosciuta sul suolo della penisola italiana: Villanova.
Da qui si estesero ed esportarono la loro “civiltà” in tutta Italia venendo accreditati come gli antenati delle popolazioni italiche che si insedieranno in tutta la penisola in due ondate successive tra il XII e il X secolo a.C. La loro zona di influenza, in effetti, si estese a tutta la Valle Padana, alla Toscana e al Lazio fino al golfo di Napoli.L’Italia, prima delle invasioni dei popoli indoeuropei del secondo millennio a.C., apparteneva a quel mondo mediterraneo barbaro e selvaggio non ancora toccato dalle grosse migrazioni,nè dalla civiltà. I suoi abitanti appartenevano a quelle popolazioni mediterranee di cui sappiamo poco o nulla.Intorno all’anno mille a.C., la situazione delle popolazioni italiche costituiva un variegato mondo di popolazioni indoeuropee e mediterranee. Tra il XII e XI secolo entra in Italia la prima ondata delle genti italiche, i cosidetti inceneritori perchè hanno l’abitudine di cremare i loro morti e di conservarne le ceneri. Tra di essi troviamo i Latini che si stabiliscono nella valle del Tevere, i Falerii nei pressi dell’attuale Civita Castellana, gli Euganei e i Camuni a nord di Brescia.Nella pianura padana troviamo i Galli che costituivano la continuità territoriale con il resto dell’Europa Occidentale abitata da popolazioni affini.
Tra l’XI e il X secolo troviamo la seconda ondata degli Italici, i cosidetti inumatori, perchè, a differenza dei primi, hanno l’abitudine di seppellire iloro morti .Tra questi troviamo gli Umbri, che si stabiliscono a nord-est dell’attuale Lazio, i Sabini, i Marsi, i Marrucini, gli Equi, i Volsci e gli Ernici che sistabilizzano nell’Italia centrale e i Sanniti sulla dorsale appenninica Nell’Italia meridionale troviamo gli Osci, i Campani, i Lucani  e iBruzi.Ad est della pianura padana troviamo i Veneti, un gruppo di origine italo-illirico, ed, immediatamente più a sud, sulla costa adriatica, troviamo i Piceni e ancora più a sud, sulla stessa costa, troviamo gli Japici, entrambi di origine illirica, una regione nord-occidentale degli attuali Balcani.Ad occidente della pianura padana troviamo i Liguri , una popolazione non indoeuropea, mentre nell’italia centro-settentrionale, sulla costa tirrenica, troviano i Reti*, anch’essi di stirpe non indioeuropea come i Siculi ed i Sicani.
I Greci incominciarono ad arrivare sulla coste meridionali dell’Italia nella prima metà dell’VIII secolo a.C., quando il loro problema di sempre, la sovrappopolazione, incominciò a farsi sentire più acutamente.
La loro migrazione andò avanti fino alla metà del VI secolo e fondarono città che dovevano svolgere una grande ruolo nella crescita culturale della penisola : Cuma, la più a nord, quasi alle porte del Lazio; Taranto, la più potente sul suolo italiano; Siracusa, la più brillante, in Sicilia, ecc.
Il nome Italia fu dato dai Greci, sin dal V secolo a.C., alle popolazioni che vivevano nell’estremo sud della penisola,di fronte alle loro coste e deriva da Vitalia (= terra delle mucche) e sin dal I secolo a.C. fu esteso a tutto il territorio della penisola.

*(In accezione impropria, il termine “Italici” è a volte utilizzato, specie nella letteratura non specialistica, per indicare tutti i popoli pre-romani, incluse quindi anche stirpi (suppostamente o sicuramente) non indoeuropee quali EtruschiLiguri o Reti. Gli Antichi Greci designavano questo genere di popoli, limitatamente all’area della Magna Grecia nella quale vennero a contatto con essi, con il termine “Italioti“, anch’esso ripreso successivamente.Wikipedia.)

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Il Disco di Festo

 Nel 1908 un gruppo di archeologi stavano scavando a Creta nel palazzo minoico di Festo e trovarono un oggetto tra i più sorprendenti della storia.Era un disco del diametro di circa 15 centimetri,di terracotta non dipinto.Su entrambi i lati erano impressi i segni di quella che sembrava una scrittura, formanti una spirale che,compiendo 5 giri,andavano verso il centro.I segni erano 241 e rimpivano tutto lo spazio disponibile.Il disco è stato datato 1700 a.c. e anticipa di circa 2500 anni i primi tentativi in Cina e di 3100 quelli in Europa della stampa a caratteri mobili.Infatti i segni sulle facce non erano incisi a mano,ma impressi nella creta morbida con stampi e questo fatto sta a significare che il popolo che ha creato il disco deve aver “stampato” altri documenti;non si creano caratteri mobili per usarli una sola volta.La forma dei segni non è simile a nessuna di quelle note e potrebbe essere originaria di Creta o importata da chissà dove.Nei 100 anni trascorsi dal ritrovamento nessun progresso è stato fatto in merito alla decifrazione dei caratteri.

Pernier, per primo, pensò a un contenuto di carattere rituale e a un significato religioso si rifece anche il Dr. Anthony P. Svoronos, che considerò i segni come una preghiera o una richiesta di divinazione,Efi Polygiannakis, nel suo libro “The Phaistos disk speaks in Greek” , sostiene che il disco è scritto con il sistema sillabico di un antico dialetto greco. Anche secondo lei il contenuto è di carattere religioso,Per il neozelandese Steven Roger Fisher, autore di Glyphbreaker,si tratta di un antico linguaggio minoico simile al greco di Micene,due linguisti americani, Rev. Kevin Massey-Gillespie and Dr. Keith Massey sono convinti che il disco contenga una formula magica o una maledizione e che il linguaggio sia indoeuropeo.Come si vede ogni interpretazione può essere considerata valida,ma il disco di Festo resta la,nel museo di Iraklion(Creta),con tutti i sui misteri irrisolti.

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Rongorongo,la scrittura dell’Isola di Pasqua

Gli abitanti dell’isola di Pasqua erano di discendenza polinesiana, e gli archeologi datano il loro arrivo verso il 400 dC. Tutto il legname presente sull’isola era completamente distrutto e azzerato già nel diciottesimo secolo. Eppure, in una lettera del dicembre 1864, il monaco Eugenio Eyraud menziona l’esistenza di centinaia di tavolette di legno coperte di geroglifici, ma quattro anni dopo, monsignor Jaussen, Vescovo di Tahiti, potè recuperarne solo cinque . Solo 21 sono sopravvissute, sparse in musei e collezioni private. La scrittura su di esse è straordinaria. Glifi sottili e notevolmente regolari, circa un centimetro di altezza, fortemente stilizzati , sono scolpiti in scanalature sulle tavolette.

La tradizione orale narra che gli scribi hanno utilizzato  ossidiana e denti di squalo per intagliare i geroglifici e che sono stati scritti dal primo gruppo di coloni guidati da Hotu Matua. Ultimo, ma non meno importante, è un fatto scoperto da tre scolari di St Petersburg (allora Leningrado), poco prima della Seconda Guerra Mondiale: 3 delle 21  tavolette superstiti recano lo stesso testo con “grafie” leggermente diverse. Nel 1958 Thomas Barthel ha fatto una catalogazione di tutto il materiale disponibile rinvenuto nell’Isola di Pasqua   nel suo “Grundlagen zur Entzifferung der Osterinselschrift” ( ” Basi per la decifrazione dello Script di Pasqua “), purtroppo mai tradotto in inglese.

Quasi quaranta anni dopo, ancora oggi le tavolette rimangono  un enigma irrisolvibile. Il loro significato rimane sconosciuto, tranne che per le linee presenti in un reperto, che, al di là di ogni ragionevole dubbio, contiene un calendario lunare, già individuato come tale da Barthel nel 1958.

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Catal Huyuk,la città più antica del mondo.


Nell’Anatolia, all’età della pietra, si ritiene abitassero popolazioni  autoctone come i Protohatti.Una popolazione indoeuropea migrò in queste zone tra il 2500 a.c. ed il 2000a.c. proveniendo molto probabilmente dalle regioni caucasiche o dall’area europea del Danubio.I componenti di questo ceppo etnico sono quasi certamente i costruttori della più antica città del mondo fino ad oggi conosciuta : Catal Huyuk.

Si tratta di una città che è sorta a sud-est di Ankara ed ha subito diversi processi di ricostruzione, partendo dal primo neolitico (8000-7000 a.C.), ottenendo, come risultato, la formazione di vari strati su una quota altimetrica di 19 metri, di cui i primi dieci sono stati datati usando il metodo del carbonio 14.Purtroppo gli scavi di questa zona archeologica sono sospesi o comunque i lavori non progediscono come l’importanza del ritrovamento richiederebbe e solo una parte del sito è stata sistematicamente svelata,registrata e catalogata.

Anche questo modesto scavo ci consente di scorgere una città al limite del fiabesco con templi e santuari, chiari indizi di pensiero filosofico,di ricchezza e amore per il lusso.Questa era Catal Huyuc,l’archetipo ancestrale di tutte le città future,con un grande tempio,centro religioso della prima grande civiltà preistorica.Come dice James Mellaart,archeologo che opera sul territorio”La civiltà neolitica nata a Catal Huyuc brilla come una supernova in una galassia con deboli luci che rappresentano le civiltà contadine contemporanee.”In un periodo in cui si considerava “grande” una città composta da una decina di case,Catal Huyuc era un’area multirazziale abitata da circa 6000 persone.L’antica città non aveva strade ed era composta da case ammassate l’una sull’altra, a scopo difensivo, a cui si accedeva tramite scale a pioli poggiate sui tetti.

Le case potevano essere a più piani, avevano poche stanze, presentavano un’intelaiatura in legno ed un rivestimento, che veniva annualmente intonacato, costituito da mattoni, fatti di fango e paglia essiccati. Ciascuna casa poteva ospitare dalle sei alle otto persone (un nucleo familiare), vi era una cucina ed un angolo dove si accendeva il fuoco. Sotto i letti venivano conservate le ossa dei defunti ed erano collocate in relazione ai sessi: le ossa di donne sotto il letto dove dormiva una donna e quelle degli uomini sotto i letti dove giacevano uomini.
I defunti venivano sottoposti ad un processo di escarnazione da parte degli avvoltoi, come ci raccontano le pitture parietali, in modo che rimanessero solo le ossa, che venivano poi conservate. Queste avevano un significato altamente simbolico, in quanto, secondo la tradizione semita, ereditata poi dal cristianesimo, rappresentano l’anima e la continuità del defunto con il regno dell’aldilà, quindi la vita eterna.

Conservando le ossa del defunto in casa, i suoi cari richiamavano su di loro la sua benedizione e protezione. In alcuni casi venivano costruite appositamente delle case solide e robuste, per conservare i defunti, in modo che gli stessi venivano ingannati e credevano di essere ancora in vita. Le costruzioni meglio conservate che ci sono pervenute sono quelle legate ai defunti, proprio perché dovevano avere una funzione duratura nel tempo.

 La consuetudine al commercio attuato con scambi e baratti attivo nell’altopiano anatolico ci fa immaginare un movimento continuo di gente in visita per matrimoni,riti religiosi oltrechè per motivi economici.Sembra quasi di vedere le case intonacate dipinte di colori vivaci,ammassate le una sulle altre;intorno alle abitazioni,forse,tende che fungevano da primi bazar,accampamenti,recinti per animali,campi coltivati.

Può sembrare ridicolo considerare fantastica una città di 6000 persone che oggi entrano in un solo edificio,ma con un piccolo forzo,ci possiamo immaginare come sarà apparsa ai visitatori:caotica,ricca di ormai sconosciute opere d’arte,con colori e rumori che mai avevano sentito,molto simile a ciò che vede un bambino che visita Disneyland la prima volta.Catal Huyuk venne abbandonata intorno al 5700 a.C., forse a causa di un incendio o di un’eruzione vulcanica. Venne fondata, così, Catal Huyuk Ovest, abitata per circa 700 anni e poi abbandonata a causa di un incendio. Successivamente, vennero fondate altre città, divenute ora famosi siti archeologici, in cui l’assetto urbanistico e la tipologia mostrano l’evoluzione della civiltà dei protohatti: Mersin-Tarso, Can Hasan, Beycesultan, Troia, Alaja Huyuk, Kultepe. Sarà proprio da Kultepe che comincerà a comparire la civiltà degli Ittiti,ma questa è un’altra storia.

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